Arrivi a un punto in cui le persone e le cose non ti bastano più.
Si crea come un vuoto tra te e il mondo, e niente (e nessuno) basta più a riempirlo. Puoi avere una vita agli occhi di chiunque altro perfetta, persino invidiabile. Ma ad averceli, gli occhi degli altri, per guardarla!
Invece hai i tuoi occhi, che sono spenti.
Che c’è? Non lo so.
Che hai? Niente.
È successo qualcosa? No.
Perché se ti azzardi a manifestare questo malessere immotivato, tutti correrebbero a darti interpretazioni e consigli che si darebbero a tutti.
Invece tu sei unico, per fortuna e per disgrazia.
Unico.
E nessuno può guardarti con gli occhi tuoi, a parte te.
A parte te.
Sono passaggi, snodi della vita che conosciamo molto bene.
Capita, a un certo punto, di avere il sentore che tutto ciò che si ha non sia abbastanza.
Ingordigia? Insoddisfazione? Pancia piena?
E invece potrebbe essere la nostra più grande fortuna.
Renderci conto una volta per tutte che tutto ciò che potremmo ottenere dalle persone e dalle cose non potrebbe mai essere abbastanza.
Se usciamo subito a divertirci, se corriamo a tamponare la falla nel modo più accessibile possibile, quella si chiuderà, ancora una volta, per ora.
Ma poi qualcosa la riaprirà.
E ogni volta sembrerà che la vita ci si accanisca contro, che si diverta a vederci infelici.
Bella opinione che abbiamo di noi stessi: sostanzialmente dei burattini in balia delle correnti.
Quasi mai ci viene in mente di prendere invece tra le mani il timone della nostra stessa imbarcazione che rischia di naufragare.
Preferiamo fare i manovali di ventura piuttosto che i capitani di bordo.
I fiori australiani mi hanno insegnato, nel corso degli ultimi anni, a studiare da capitano di bordo, o meglio: da timoniere.
Stiamo parlando soltanto di una corrente, di una delle innumerevoli branche di quella che spesso in modo generalistico definiamo “medicina naturale”, intendendo con questi termini una proposta alternativa alle terapie ufficiali, tradizionali, scientificamente comprovate.
Sembrerebbe una definizione riduttiva.
Lo è solo perché per il senso comune l’aggettivo “naturale” fa rima più con “blando” che con “affidabile”.
La natura non cura mai in maniera esclusiva, mirata e immediata, ma con i propri tempi, nel rispetto di te in quanto parte del suo tutto.
Ecco perché l’ego tende a vedervi un “rimedio” etico, ma debole.
È più rassicurante misurarsi con espedienti in grado di sortire effetti rapidi, possibilmente testati dal maggior numero di persone, non importa quanto invasivi.
Perché non sappiamo confrontarci costruttivamente con ciò che più ci spaventa: il dolore, il sospetto di non poter più condurre una vita “normale” (non importa quanto, in tempi non sospetti, disprezzata), il senso di vuoto.
Come agiscono i fiori australiani?
A livello sottile, impercettibile.
Agiscono sulle nostre vibrazioni energetiche, dunque sul tenore dei nostri pensieri.
Se ne fregano del mondo, di chi ci ha delusi, di cosa è andato storto.
Si curano del nostro sguardo su noi stessi, ovvero di quanto di più inafferrabile e determinante possa essere alla base di ogni nostra esperienza.
I fiori australiani si confrontano esattamente con la nostra unicità, e ci invitano a riscoprirla, o a scoprirla per la prima volta, attraverso l’esperienza del disagio.
Non mirano ad estinguerlo, ma a interrogarlo, a scioglierlo.
Il disagio non è una malattia, ma energia rappresa che non stiamo facendo scorrere, che stiamo sottraendo al bene comune, e non solo di noi stessi.
C’è un fiore per ogni “problema”, per la mancanza di autostima, per la gelosia, per la debolezza fisica e per quella psichica, per l’apatia, per il senso di oppressione e di abbandono, per le dipendenze, per la paura del rifiuto o del contatto con gli altri.
Ma questa è solo la prima fase.
L’aspetto più superficiale dell’incontro.
Perché poi ogni fiore è unico, al di là delle sue peculiarità, e va a incontrarci al di là degli aggettivi con i quali normalmente ci lasciamo definire.
Si tratta dell’incontro alchemico fra due variabili.
Questo significa che lo stesso fiore può avere effetti diversi a seconda della persona che lo sceglie, o a cui viene consigliato.
Ed è proprio qui che inizia il bello.
Si parte da un problema.
Ma molto spesso, già dopo pochi giorni, quel problema cambia forma, rivelandone un altro cui da soli, attraverso superficiali deduzioni logiche, non saremmo mai arrivati, o liberando istantaneamente un’energia insospettabile che rasserena le acque trafiggendole di luce.
Quello è il sorriso del dolore che ci ringrazia per averlo rispettato, ascoltato e amato.
Ci ringrazia per non averlo archiviato come una pratica sgradevole da procrastinare ancora una volta.
Così, senza rendercene conto, anche lo scenario è cambiato, le nostre mani sono ancora sul timone, eppure sembra che non siamo noi a guidare, ma il mare stesso, il vento, il soffio dei nostri pensieri che cedendo il carico delle ansie sperimentano il dominio più straordinario di tutti: quello della fiducia in ciò di cui facciamo parte.
Non importa da quale dei fiori australiani possiate partire, importa capire che l’Universo intero dorme in ogni sua singola, fragile e sperduta parte, e che per risvegliare quella parte che siamo noi, che spetta a noi salvaguardare e coltivare, occorre un atto di fiducia. Fiducia in ciò che alla mente sembra improbabile, debole, lento, lontano, troppo dispendioso in termini di pazienza.
La pazienza è la saggezza dei timonieri, che quando c’è burrasca non si azzarderebbero mai ad avanzare a casaccio, ma sanno farla passare tenendo bene a mente la direzione, al momento invisibile se non a se stessi.
Quando incontriamo i nostri occhi nello specchio, non facciamoci bastare il volto che li circonda e li porta in giro, ma perdiamoci ogni tanto nel nero delle pupille, dove nessuna tempesta potrà mai arrivare.
Lì finisce tutto, e da lì riparte tutto.
Da lì possiamo reinventarci, superarci, rinascere.
Ma per farlo dobbiamo smettere di avere paura di perdere – o di tradire – quel tutto che tanto non basterà mai.
Quando nessuna strada fa al caso nostro, non accontentiamoci della meno complicata.
È il momento di tracciarne una nuova.
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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