Ognuno di noi ha vissuto dei momenti di sofferenza. Persino i monaci buddisti, nonostante la loro esperienza decennale di meditazione, soffrono ogni tanto.
Spesso, quando ci troviamo ad attraversare un periodo doloroso, ci domandiamo come reagire. Perché istintivamente cerchiamo di scacciare la sofferenza, di far finta che non sia presente. Vogliamo anche che finisca il più rapidamente possibile ed è questa la ragione per cui non impariamo mai la lezione.
Il dolore può essere il nostro migliore insegnante, ma ci invia informazioni che sono spesso difficili da decodificare e gestire. La sofferenza ci comunica che non siamo allineati con ciò che siamo veramente e che abbiamo deviato dal nostro percorso di vita.
Ogni volta che proviamo dolore, dovremmo fermarci. Ascoltarlo. Frenando l’impulso di allontanarlo.
Bisognerebbe chiedersi:
Perché soffro? Cosa mi ha allontanato da me stesso?
La risposta a queste domande può suggerire la strada per tornare sul nostro percorso.
Noi e la sofferenza siamo un tutt’uno. Di conseguenza, noi stessi i nostri migliori insegnanti.
Se abbracciata nella sua integrità, come qualcosa che è, la sofferenza può darci una grandissima energia.
Quando si presenta, la sofferenza può renderci dei bravi alchimisti che la trasformano da un metallo povero a oro.
Perché in fondo è questa l’alchimia: trasmutare il dolore in amore, presenza e consapevolezza.
Solo così è possibile superare la sofferenza e crescere nella vita. Non esiste modo migliore.
La sofferenza può essere il combustibile per la nostra evoluzione. E’ un passaggio tra due fasi, fra il passato e il futuro.
Ma, perché ci sia futuro – e per togliere l’ancora dal passato – è indispensabile vivere il presente e quello che ci offre, anche se si tratta di un momento di dolore.
Lasciarsi andare al presente non è rassegnazione. Non è rinunciare a vivere. Significa semmai sperimentare la verità attuale, pur nella sua crudezza che si trasformerà in splendore.
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Articolo di generazionebio.com
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