La Bibbia, quel “libro dei libri” più diffuso eppure meno letto di tutti.
Ho iniziato a considerarlo per la prima volta con interesse grazie alla lettura di alcuni classici della “scienza della mente”.
Gli autori che appartengono a questa corrente di pensiero danno della Bibbia un’interpretazione psicologica, superando quella a cui tutti siamo abituati, storica e dogmatica.
Nella loro ottica, Adamo, Caino, Abramo – e chi altri con e dopo di loro – non sono semplici personaggi sulla cui reale esistenza abbia senso interrogarsi, personaggi leggendari ma sostanzialmente distanti dalla sensibilità contemporanea, ma sono delle metafore, o allegorie, degli stati mentali, delle condizioni interiori che appartengono all’essere umano, in ogni luogo, in ogni tempo.
Una sorta di enciclopedia psicologica ante litteram.
Vale la pena leggere le loro parole.
Perché a volte la strada che sembra condurci più lontano da casa è quella che ci permetterà di comprendere per la prima volta il nostro autentico punto di partenza.
La Bibbia dice che abbiamo il dominio su tutte le cose – e ce l’abbiamo – ma possiamo avere questo potere solo quando impariamo le leggi della vita e le mettiamo in pratica. Non esiste dominio senza il rispetto di queste leggi
Parole tratte dal lavoro che Emmet Fox ha dedicato a una rilettura breve ma densa e a tratti sorprendente dei Dieci Comandamenti.
Ognuno di essi meriterebbe un discorso a parte, ma è su un comandamento in particolare che si può fondare un modo diverso di guardare alla Bibbia e, di riflesso, al rapporto con i nostri stati mentali, che sono quanto di più prossimo incontriamo non appena iniziamo a pensare. Più prossimo del nostro vicino di casa, del coinquilino, del volto che vediamo riflesso nello specchio in bagno.
Nulla ci può essere più prossimo (e più vantaggioso, o deleterio) di ciò che – al momento – pensiamo.
Eppure c’è qualcosa di più vicino ancora, ed è ciò che regge i nostri pensieri, ciò che li scocca come frecce, ciò che li fa essere proprio quelli, e non altri.
Si tratta di ciò che crediamo.
Il credere viene prima del pensare.
Ma è talmente confuso dai nostri stessi pensieri che non riusciamo facilmente a coglierne la presenza, e il ruolo fondativo.
Io sto pensando che oggi devo fare un mucchio di cose, quindi penso di non avere spazio e tempo per altro, anzi prevedo che ogni faccenda che dovrò affrontare mi porterà una serie di rogne a catena, ecco perché poi sono nervosa, ecco perché litigo con tutti, ecco perché la mia salute va a rotoli…. vedi qua questa ruga, guarda il colorito spento, vorrei quel vestito che ho visto ieri in quel negozio, ma tanto non posso permettermelo perché ho perso il lavoro…chissà se, a proposito, quell’agenzia mi farà sapere qualcosa, cercavano personale, ma figurati se prendono proprio me… io non ho mai avuto fortuna.
Nel frattempo, la stessa vita, porta ad altre persone colpi di fortuna, situazioni favorevoli che crediamo siano state propiziate da qualche dio benevolo, sia esso Apollo o un personaggio politico particolarmente influente.
Fermiamoci qui, proprio qui.
E ascoltiamo, più che leggere, Emmet Fox: realizziamo il significato di queste parole in riferimento specifico a qualunque dialogo mentale finora abbia occupato la nostra mente:
Qualunque sia la tua idea di Dio, qualunque sia ciò in cui credi, quell’idea o quella cosa si esprimeranno nella tua vita. Un Dio limitato sarà limitante, un Dio crudele reagirà con crudeltà e senza amore. Ne soffrirai i risultati. Se credi in un Dio debole, soffrirai le conseguenze della debolezza. Se credi in un Dio umano, avrai tutti i problemi che potresti avere se un essere umano governasse l’universo
Nell’esempio che abbiamo fatto, in quel genere di dialogo mentale che ci accomuna in misure e momenti diversi un po’ tutti, stiamo “credendo” in Dio, anche se lo chiamiamo Apollo o personaggio politico influente. Stiamo dando a un dio che non ha a cuore il nostro benessere, o al politico di turno, il potere di limitare la nostra vita.
Perché si crede sempre, anche quando si è convinti di non credere in niente.
Il credere è fede. Anche se non andiamo a messa, anche se non frequentiamo sinagoghe o templi buddhisti, anche se siamo atei.
Ciò a cui conferiamo il potere di ostacolare la nostra piena espressione (di salute, di realizzazione professionale o sentimentale) è il dio a cui ci stiamo votando.
Allora la domanda non è più:”esiste veramente Dio? Mosè è davvero esistito?…” – ma diventa: dato che un Dio c’è sempre a fondo di ogni nostra credenza, “in quale Dio sto credendo? Qual è l’idea che mi sono fatto di Lui?”
Se tu credi che Dio sia intelligente ma non buono – un Dio che ha tutto il potere e l’intelligenza, ma non ama la sua creatura – allora quella è la tua idea della natura di Dio e non la puoi pronunciare invano. Produrrà comunque degli effetti, ma saranno difficoltà, problemi e disagi
Il comandamento in questione è:
non pronuncerai il nome del Signore invano
Non è un’ingiunzione, un ordine.
Non è un precetto di ortodossa e pia condotta.
È una constatazione.
Non potrai pronunciare il nome di Dio senza che questo non condizioni la tua vita, a partire dai tuoi pensieri.
La sequenza a ritroso è questa:
4) condizioni di vita
3) stati emotivi
2) pensieri
1) credenza/fede
Gli stati emotivi che muovono la nostra realtà sono a loro volta determinati dai nostri pensieri che scaturiscono da ciò che crediamo: tutto parte dalla fede.
Quante volte abbiamo obiettato a chi ci ha parlato di Dio: bisogna avere fede, ma io non ce l’ho.
Quante volte abbiamo definito “uomini o donne di fede” chi sembrava in contatto con una divinità a noi indifferente.
Tantissime.
È il momento di riflettere sul significato della parola fede, è questo l’invito che ci fa Emmet Fox.
Noi siamo esseri portati ad affidarci, sia pure all’idea di non poterci fidare di nessuno.
Spostiamo continuamente il dio in cui crediamo, gli cambiamo nome e attributi…ma è sempre ovunque crediamo di avere una forza in grado di formare o distruggere la nostra vita.
Questo Dio unico possiamo frammentarlo, dislocarlo, disegnarlo o temerlo come vogliamo: avrà sempre il potere di determinare le condizioni in cui ci imbattiamo. E questo potere glielo conferiamo noi.
Pensandolo, credendolo in un modo o in un altro.
Se credi che Dio sia bene , che sia amore, intelligenza, potere, allora tutte le condizioni della tua vita miglioreranno stabilmente. Alcune difficoltà svaniranno prima di altre, è una questione di gradi d’importanza. Ma quando credi veramente che Dio è in tutte quelle cose, tanto indifferentemente e tanto inconfutabilmente quanto credi nella solidità di un cavalcavia autostradale quando lo attraversi in macchina, allora ogni cosa comincerà ad andare bene
Ancora una volta, non è una raccomandazione, ma una constatazione.
Sarà favola o verità – in base alla nostra scelta di ignorarla, o di metterla alla prova.
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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