Primavera inoltrata, tempo di gare e di finali avvincenti.
Da tifosi, simpatizzanti o curiosi occasionali, tutti ci siamo ritrovati a tifare, a caldeggiare la vittoria di qualcuno, perché in quel qualcuno ci siamo identificati.
Fenomeno comune, e al tempo stesso molto interessante.
La nostra attenzione viene catturata da due o più contendenti, ma già dopo pochissimo iniziamo a seguire l’evento da un punto di vista sempre più parziale, fino a sperare nel trionfo di quello che diventa il nostro preferito.
Ne seguiamo rapiti ogni mossa e, al tempo stesso, gettiamo uno sguardo preoccupato a chi potrebbe insidiarne il primato.
Segretamente desideriamo che ogni avversario si faccia da parte, come se stesse intralciando il nostro stesso cammino.
E mentalmente, e poi verbalmente, lo osteggiamo, finiamo con l’attribuirgli più attenzione rispetto al nostro favorito.
Perché man mano che il traguardo si avvicina cresce in noi la percezione di un pericolo.
Il pericolo che tutto il nostro tifo, il tempo, l’energia investita, si risolvano in delusione.
Da una parte la seduzione del Sogno.
Dall’altra lo spettro chiamato Sconfitta.
Per non trovarci impreparati all’incontro con questo spettro, ci persuadiamo che la vita si giochi a dadi, che tutto sia casuale – e che potremmo benissimo perdere.
Se poi non perdiamo, ‘tanto di guadagnato’, ci verrebbe da pensare, ma ci sbaglieremmo: in realtà avremo finto di sperarci “non fino in fondo” per un arco di tempo che sarà stato sicuramente superiore alla durata dei festeggiamenti.
Detto in altre parole, saremo stati per la maggior parte del tempo in conflitto con noi stessi, più che felici.
E se poi perdiamo lo stesso… mi spiegate che senso avrebbe avuto privarci dell’entusiasmo di una legittima aspettativa di vittoria per tutto il tempo che è passato da una sconfitta a un’altra?
Solo per ingraziarci una dea chiamata Scaramanzia?
Si perde, si cade, si sbaglia.
E’ la vita.
Però siamo diventati troppo bravi a farne ogni volta un dramma, ad aggiornare le statistiche, a piegare la “cabala” a nostro uso e consumo. A cercare in un database sterminato un solo motivo “logico”, “razionale”, che ci legittimi a sperare o a disperare.
Le nostre speranze non siamo in grado di giustificarcele da soli. È una responsabilità troppo scomoda.
Tutto pur di non dire:
ah, che bello, ci siamo!!
Ce la giochiamo!
Vinciamo!
La scaramanzia, così come tutto il tifo sotterraneamente e smaccatamente “contro”, rappresenta una confessione di grande debolezza.
Non si può temere di perdere se si vuole imparare a vincere, se si vuole – cioè – studiare da grandi.
Perché chi vince ha alle spalle tutto un dimenticato elenco di cosiddetti fallimenti cui a un certo punto ha trovato la forza, l’energia mentale, di non dare più importanza.
Se ci pensate, avete imparato a camminare quando avete dimenticato di poter cadere.
Se ci pensate, impara a nuotare chi ha superato il ricordo dei primi tentativi di mantenersi a galla che lo hanno mandato giù per un attimo, e anche per il successivo.
Quante volte ha sentito di poter andare giù?
Una o cento: il numero di volte di cui ha avuto bisogno per togliersi la paura di affondare.
Nessuno vince senza aver perso, prima, indeterminate volte.
Allo stesso modo, se guardiamo ogni volta con stizza le vittorie degli altri, ci riduciamo esattamente a questo: a guardare da lontano ciò che non confesseremo mai serenamente a noi stessi di desiderare.
È che abbiamo paura di desiderare. Perché diamo troppo peso alle poche o molte volte in cui ci è stato detto di no, in cui ci è stata sbarrata la strada.
Il mondo non è solo degli altri, è anche nostro.
Ma ragionare da scaramantici o da ‘gufi’ ci taglia fuori dalla pista – dalla nostra stessa vita – nel momento in cui conta di più esserci.
È come quando si gioca a scacchi, o a carte.
Tutti vogliamo vincere, è ovvio.
E se perdiamo prendiamo immediatamente le distanze dalla soddisfazione di chi ci ha battuto, magari ridimensionandone i meriti.
Invece no!
Provate a essere nei panni di chi ha vinto.
Tanto uno che vince c’è sempre.
Provate ogni volta a immedesimarvi nelle sue sensazioni. A sentirle vostre.
Abituatevi a sentire che effetto fa la felicità.
Sapete cosa state facendo?
State chiedendo correttamente all’Universo (o a Chi volete/credete voi) di portare nella vostra vita l’esperienza corrispondente alla vibrazione che state emettendo.
Sulla carta – ora – avete perso.
Ma state giocando in anticipo la prossima gara.
E … indovinate?
State vincendo.
Prendete atto dei verdetti della vita, sempre.
Ma portatevi AVANTI.
Immediatamente.
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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