Sto leggendo un libro magnifico.
Il titolo è “Libro della Creazione” e l’autore Igor Sibaldi.
Di quei libri che più che incuriosire ridanno fiato, e con esso ossigeno, e con ossigeno nuova linfa.
Perché non si dovrebbe leggere per evadere, semmai per tornare.
Il mito – anzi i miti costruiti intorno al dio Dioniso, da Sibaldi acutamente rivisitati e accordati, ci possono insegnare proprio questo: a tornare.
A tornare dopo essere fuggiti, dopo esserci separati dalla breccia che la nostra nascita ha prodotto nel mondo, a partire dal nostro mondo.
Ogni nascita rappresenta un trauma per il contesto in cui avviene.
Lo è a maggior ragione la nascita di Dioniso agli occhi di Hera: il frutto dell’ennesimo tradimento del più greco di tutti gli dei greci.
Hera attenta alla vita di Dioniso sin dall’inizio, vorrebbe farlo sbranare dai Titani, lo costringe a fuggire.
E Dioniso fugge, e fuggendo incontra e assimila aree promiscue, figure proibite.
Invece di un popolo, in tutti i suoi viaggi Dioniso ha con sé il più strano seguito che si sia mai visto accanto a una divinità greca: sileni, satiri – figure ibride, in parte umane e in parte animalesche – che obbediscono solo a lui.
Un devoto di Hera avrebbe visto in quel corteo di difformità le concrezioni della follia di Dioniso: forme di angoscia – e in parte avrebbe avuto ragione
Se non che…
I mostri e le belve che Dioniso ha intorno, corrisponderebbero ai guardiani della soglia delle nostre aree rimosse.
Dioniso è abbastanza saggio da non distruggerli:
li ammansisce, li affascina, li fa suoi compagni
Ed è qui che Dioniso frega Hera, senza spargimento di sangue alcuno.
Frega le ingiunzioni di un Olimpo che teme – eppure tollera – il tradimento, perché in altri modi non sa affrontare il necessario, fatale confronto con l’altro da sé: traditi è pur sempre meglio che detronizzati.
Chi trasforma così le proprie paure in alleati comincia d’un tratto a procedere di vittoria in vittoria.
Può ottenerne opere d’arte, soluzioni inattese, argomenti di ironia, chiavi inaudite per comprendere meglio il suo prossimo
Questo perché è disposto a mischiare le carte, i ruoli, i confini, è disposto a sdoganare la propria natura bastarda, infinitamente “altra”, a giocare con le paure che lo vorrebbero esule, ripudiato, illegittimo.
Combatterle sarebbe ammetterne la realtà, dunque il potere, anche se si dovesse arrivare a vincerle.
Mentre Dioniso è oltre.
È già oltre, ancora oltre.
Proseguendo verso sud-est, Dioniso giunse fino a un Oltremare lontanissimo, l’India
Qui Dioniso incontrò Śiva.
Śiva sempre in cammino, con al collo un serpente, con il fallo eretto bene in vista, e con un pittoresco seguito di ribaldi danzanti, dispettosi, sboccati, molti dei quali ibridi e mostruosi, era ed è ancora, in India, il Dio dell’energia vitale dell’universo.
Durante quell’incontro con il suo se stesso indiano, Dioniso guarì per sempre dalla manίa: perché divenne diverso da ciò che in lui poteva essere malato – cioè dal proprio «io»
Guarì perché divenne diverso da ciò che in lui poteva essere malato – cioè dal proprio «io».
Sibaldi è, anche, provocatorio.
Qui ci provoca a rivedere la dicotomia malattia/guarigione: la sposta fuori dall’«io», perché l’«io» non può guarire.
L’«io» stesso è la malattia.
Una malattia non può scomparire: può solo essere superata, lasciata indietro rispetto a un nuovo «io» che nasce a dispetto di essa, e di Hera.
Un «io» impertinente che ai divieti risponde con un sorriso inaffondabile.
Mi hai ferito, mi hai condannato, mi hai ucciso.
Ma io sono ancora qui.
Perché?
Com’è possibile?
Dioniso sbranato dai Titani eppure ancora vivo, addirittura plurimo, ubiquo.
Che significa?
La malattia non può essere cancellata, il dolore non può essere impunemente rimosso.
In Dioniso non troviamo questo delirio di onnipotenza.
Dioniso è umile e capillare: inarginabile.
Ci dimostra che ogni identità è preziosa, purché vista dalla giusta distanza. Anche quella della malattia, della sofferenza, dell’impotenza.
Il mutamento che l’incontro con Śiva produce in Dioniso è radicale. Prima Dioniso rappresentava ciò che è diverso dal mondo di Hera, la sua follia era un opporsi a esso e un fuggirne : in tal modo, tutto il significato di Dioniso dipendeva ancora da quel mondo.
Ora Dioniso inverte la direzione dei suoi viaggi, torna verso il Mediterraneo. Invece di fuggire, si espande.
Intorno al 1500 a.C. ebbe inizio la cosiddetta epidemia dionisiaca: dapprima a Creta, poi si moltiplicarono i miti dei suoi sbarchi sul suolo greco – a Nasso, al porto ateniese del Pireo, a Thorikos, a Ikarion – e le sue feste annuali in questi luoghi. E giungeva irresistibilmente
Invece di fuggire, si espande.
E giungeva irresistibilmente.
Chi può farlo?
Chi può giungere irresistibilmente?
Solo chi, invece di fuggire, si espande.
Non chi uccide, chi cancella, chi rimuove.
Ma chi accoglie l’altro e con l’altro diventa più grande.
Guarisce non chi sconfigge la malattia, ma chi accoglie la guarigione, l’altro, e si espande oltre la malattia.
Diventando altro ancora.
Dioniso, il dio straniero. Solo lui può tornare.
Solo chi si perde può approdare a se stesso, può accadere a se stesso, con l’ineluttabilità di un fato, di un destino, di un miracolo.
Altrimenti avremmo semplicemente un’impossibilità logica.
‘A’ non è – e non può essere – ‘B’.
Ci dimostrerebbero che abbiamo sbagliato, che siamo sbagliati.
L’unico modo per tornare è invece accorgersi che ‘A’ non è ‘A’.
E che tutto ciò che sappiamo non è che sempre soltanto l’inizio della nostra storia.
Dioniso il dio straniero, ovvero la divinità dalla parte di ciò che rende lucidamente, sfrontatamente incompleti.
Quindi in ebbro e vertiginoso divenire.
Non questo ‘o’ quello, ma questo ‘e’ quello.
E, soprattutto, cos’altro ancora non è.
Cosa è Dioniso corrisponde a cosa non è Dioniso.
Un dio così fa uscir di senno se non ci balli insieme.
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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