Tutto ciò che pianterete nel vostro subconscio, crescerà e prenderà forma nel vostro corpo e nella vostra vita
Per questo dovremmo imparare ad assumerci la responsabilità dei nostri pensieri. Non per guadagnarci il paradiso, non per assicurarci per logica karmica una prossima vita felice.
Non per dovere, non per dogma, non per guadagnarci un premio, non per gli altri. Ma per noi stessi, per la qualità della nostra esistenza e delle nostre relazioni, qui, adesso. E per notarlo giorno per giorno in prima persona, qui, con i nostri occhi. Ché è solo così che da sempre abbiamo imparato qualunque cosa: provando e vedendo con i nostri occhi. Cosa ci ha sempre insegnato qualunque esperienza? Che l’unico appiglio sicuro siamo noi stessi. Senza nulla togliere al valore delle cure, dell’affetto e dell’appoggio ricevuti da persone diverse in frangenti diversi: noi siamo il terreno su cui poggiamo costantemente i nostri piedi.
Quello che vale la pena provare a scoprire è che quando contiamo su noi stessi non contiamo sul niente.
E non contiamo neanche sul nostro nome, sul nostro cognome, sulla nostra età, sui nostri ruoli familiari, sociali, lavorativi. Sono tutte coordinate forniteci per fare di noi dei puntini come altri sulla tavola delle apparenze.
Fossero mai servite a qualcosa, queste apparenze…potremmo capire lo sforzo di tenerle in piedi. Ma a cosa sono mai bastate l’ultima volta che ci siamo sentiti incompresi, impotenti, svalutati?
Quelle apparenze tanto marcate quando le cose funzionano hanno mai avuto il potere di salvarci dalla nostra insoddisfazione, dal senso di abbandono, dal nostro bisogno di radicare la nostra presenza al mondo a un motivo, uno scopo, un significato che le dia un reale spessore? Quello spessore che percepiamo in noi stessi quando dopo tante bracciate a vuoto impariamo a nuotare, quando dopo svariati tentennamenti impariamo a stare in equilibrio sulla bicicletta. Quello spessore che, chissà perché, più non ci capita di toccare con mano quando iniziamo ad affidarci agli altri per essere sostenuti e resi felici, quando ci illudiamo che basti partecipare a qualunque gioco per essere visti, riconosciuti, giustificati.
Fosse così semplice, saremmo tutti individui realizzati.
Ma non è così.
Perché non è così?
Possiamo paragonare il nostro subconscio ad un fertile humus in cui tutti i semi, buoni o cattivi, crescono rigogliosamente. Raccogliete forse la vostra uva da un pruno oppure i fichi dai cardi? Ogni pensiero è quindi la causa e ogni circostanza esterna o interna ne è l’effetto. Se volete quindi che la vostra vita abbia un andamento positivo, dovete diventare i padroni incontrastati dei vostri pensieri
Chi non padroneggia se stesso, diventa servo delle circostanze.
Basta ritrovarsi in uno stato alterato, evenienza assai comune nel regime di vita stressante a cui siamo forzati ad adattarci.
Basta essere stanchi, nervosi, delusi, contrariati per ragioni su cui andiamo rimuginando nella nostra testa per prendercela con la prima persona che, per ragioni estranee alle nostre, ci sta sbarrando la strada.
Allora litighiamo, alziamo la voce, ci facciamo sentire. E finiamo in storie che non volevamo, ma che ci siamo cercati, per l’abitudine a chiedere all’ambiente esterno e a chi lo abita di trattarci con quei riguardi che per primi siamo incapaci di usare con noi stessi.
Nel frattempo, in noi, il subconscio – che tutto e tutti lega e sostiene, in un unico, universale abbraccio sotterraneo – sta facendo esattamente quanto è tenuto a fare: portare a frutto i nostri semi, ovvero le emozioni che inopinatamente piantiamo in esso con l’illusione che, siccome le indirizziamo verso altri, non tocchino noi. Niente di più sbagliato.
Se scaglio un insulto, tutto il mio essere si imprime nel subconscio nel formato di insulto.
Sto seminando insulto e sto dicendo al subconscio – che tutto e tutti lega e sostiene, in un unico, universale abbraccio sotterraneo – che io sono insulto, e quello, neutrale e giusto, mi restituirà presto o tardi l’esperienza dell’essere insultato.
Quando sarò insultato avrò dimenticato molto probabilmente quando, dove, come e chi ho insultato a mia volta.
E sembrerà io stia subendo un attacco immeritato.
Ammettiamo pure che sia così.
Ma provate a scomporre il tempo che avete davanti in piccoli mattoni. Ogni mattone di tempo recherà l’impronta dell’emozione che sceglierete di esprimere dentro e quindi fuori di voi.
Se scegliete il risentimento non potrete scegliere altro. E allora, scegliendo di materializzare il vostro risentimento, starete rinunciando nello stesso istante a creare un mattone di gioia, di serenità, di entusiasmo, di allegria.
Scegliete pure qualunque modo per farvi giustizia, inveite, tuonate, vendicatevi finché l’altro, sincero o meno, vi darà ragione. Siete liberi.
Ma siate consapevoli che ogni pensiero e ogni emozione a cui darete spago lascerà un solco, rilascerà un seme, segnerà una traccia incancellabile sull’humus che ci unisce a tutti i destini che nel frattempo si vanno formando. Voi, a questo terreno comune che ci unisce e ci sostiene, avrete dato il contributo del risentimento.
Anche se avevate ragione.
Avrete lavorato alla discordia, all’incomprensione, alla divisione.
Non è difficile capire come funziona il linguaggio elementare del subconscio.
Il difficile arriva dopo aver letto, ascoltato e saputo che funziona in questo modo.
Il difficile è ricordarsene fino alla prossima volta in cui saremo chiamati ad attuare il nostro cambiamento, a nuotare, a pedalare. Prima che si arrivi a capire che è proprio così che funziona, saremo tentati mille volte di lasciar perdere, perché se davvero dovessimo capire che è proprio così che funziona, non avremmo più scuse.
Ed è un fastidio non da poco, quello di non avere più scuse.
Il fastidio di chi arriva a comprendere che per passare l’esame deve proprio studiare, impegnarsi, guadagnarsi la fiducia in e di se stesso – anche se nella nostra società sembra che funzioni esattamente al contrario.
Se possiamo contare solo su noi stessi, dobbiamo fare di noi stessi una base inaffondabile: sul vento degli impulsi nessuno ha mai costruito niente.
L’urgenza non è quella di avere ragione, ma quella di costruire le nostre basi.
La nostra società premia i parassiti? Va bene, abbiamo ragione.
Ma come vogliamo il prossimo mattone, di paglia fradicia o di cemento armato? Preferiamo riempire di parole al vento le vele dei denigratori o continuare a lavorare alle nostre basi?
Se non ce le costruiamo da soli nessuno verrà a regalarcele.
Vogliamo perdere ancora tempo?
Joseph Murphy, Il potere del subconscio, Edizioni Mediterranee, p.24
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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