Desideriamo continuamente.
Per esempio una forma fisica invidiabile, amici sempre disponibili, il partner infallibile, figli educati a farci sentire genitori perfetti, una carriera brillante.
Cosa accomuna tutti questi desideri? Cos’è un desiderio, precisamente?
In genere, tendiamo a desiderare ciò che abbiamo più paura di NON ottenere.
Più è grande la paura, più il desiderio diventa ossessivo. Diventa, a tutti gli effetti, un qualcosa che nella nostra mente ci separa da una sensazione di completa auto-realizzazione. Desiderare, quindi, è un po’ come riconoscere: non vado bene così, non ho abbastanza, non sono abbastanza. Questa implicita consapevolezza di mancare sempre di qualcosa – che ai nostri occhi potrebbe appagarci – ha decretato la fortuna di tante campagne politiche e pubblicitarie che da almeno un secolo continuano a pilotare la società di massa a cui, volenti, ignari e nolenti, apparteniamo. Se io desidero avere più di quello che ho, divento automaticamente sensibile ad ogni trovata pubblicitaria che sulla carta mi prometta di raggiungere ciò che penso mi manchi: quel paio di occhiali, quel tipo di macchina, quel modello di tablet … Non c’è nulla di male nel cercare di migliorare la propria condizione attuale, solo varrebbe la pena tenere presente che spesso dietro i desideri più “stupidi” può nascondersi la convinzione che il proprio valore dipenda esclusivamente dal proprio corpo o dalle proprie finanze. In questo caso, desiderare diventa un investimento a fondo perduto: nella stragrande maggioranza dei casi, non solo ci lascerebbe con un pugno di mosche in mano, ma getterebbe letteralmente sul lastrico la nostra autostima, che è il motore segreto di ogni iniziativa che possa dirsi autenticamente nostra.
Nel suo ultimo lavoro pubblicato in Italia da Bompiani, “Soldi. Domina il gioco“, Tony Robbins parla dell’oggetto del desiderio per eccellenza, il denaro, e lo fa tentando l’impresa di portare a un vasto pubblico alcuni segreti del mondo finanziario, legati a strategie di risparmio e di investimento diversificato rivelategli da leader nel settore che negli ultimi decenni hanno realizzato guadagni da capogiro. Al di là di queste specifiche strategie che ne rappresentano l’argomento centrale, il libro è interessante per il rilievo che dà alle motivazioni che ci portano a desiderare “più soldi”. È un viaggio nei circuiti della percezione silente che abbiamo di noi stessi quando ci prefiggiamo un obiettivo, qualsiasi obiettivo. Perché desiderare non significa soltanto puntare a ciò che al momento non ci appartiene, ma significa principalmente fare i conti col passato da cui proveniamo e con ciò che siamo disposti a fare per poterlo migliorare. Il miglior investimento che si possa fare coinvolge il nostro processo di maturazione, ma se ci perdiamo nel vortice di un desiderare incontrollato, capace solo di portare ai nostri occhi un traguardo parziale dopo l’altro, non troveremo mai niente su cui poggiare i piedi, non potremo mai desiderare a partire dalla sana esigenza di sviluppare i nostri talenti.
La società in cui viviamo non sa niente di noi e non è minimamente interessata a valorizzare le nostre potenzialità: è un’organizzazione anonima finalizzata esplicitamente al consumo di quanto le viene somministrato attraverso i canali più disparati che vanno da un irrisorio sostegno economico a un generalizzato lavoro disponibile (quando è disponibile), tutto lontano anni luce dalla necessità che ogni persona ha di scoprire e di mettere a frutto le proprie caratteristiche originali. Soltanto noi possiamo investire su ciò che di meglio c’è in noi stessi, ma per poterlo fare dobbiamo conoscere, sapere cosa siamo in grado di offrire. Dobbiamo capire che il desiderare a fondo perduto erode il potere d’acquisto del nostro capitale umano e ci distoglie dalla possibilità di lavorare ai fini della nostra vera ricchezza. Dobbiamo imparare a sentire la paura sotto l’euforia di ogni nuovo desiderio indotto. Dobbiamo ascoltare quella paura preziosa, che è lì non per affossarci, ma per indicarci il fondo da cui ripartire: una percezione onesta, umile e nel contempo ambiziosa di noi stessi.
Non siamo nessuno, ma possiamo diventare esattamente come vorremmo fosse la persona che saremmo felici di incontrare al prossimo incrocio, dietro il bancone del bar, alla cassa dell’ipermercato… Al posto di desiderare l’amico che non abbiamo mai avuto, o l’altra metà del cielo che andrebbe a combaciare perfettamente coi nostri margini… investiamo in noi stessi: proviamo a diventare noi l’altro che nessun altro è, non limitiamoci a lamentarci delle assenze e delle mancanze, anche altrui, che fanno di noi degli esseri perfettamente insoddisfatti. È tutta una questione di prospettiva.
Hai mai visto le gare di atletica alle Olimpiadi? È facile che, vedendo le corsie prima della partenza, ci si chieda com’è possibile che il corridore situato più all’esterno della curva non abbia un enorme vantaggio rispetto agli altri.
Il nostro cervello sa che tutti gli atleti devono percorrere la stessa distanza, ma i nostri occhi sembrano ingannarci.
Il cosiddetto “sfasamento” ha lo scopo di uniformare la distanza sulla pista ovale. Eppure l’apparenza del vantaggio può essere psicologicamente importante.
Il tizio davanti pensa forse di essere in testa? Questo gli dà sicurezza? E il tizio in fondo si sente sfavorito, e quindi corre un po’ più veloce per compensare?*
Chi decide se un apparente svantaggio può motivarci o spezzarci le gambe in partenza? Chi decide se una promozione sul lavoro, se un aumento di stipendio e di responsabilità può gratificarci o autorizzarci subdolamente a investire meno tempo negli affetti e magari proprio in quell’attività di ripiego che guarda caso sarebbe ciò che ci riesce meglio? Chi decide il peso che avrà nella nostra vita un incidente invalidante, o una miracolosa vincita alla lotteria? E se quell’incidente ci aiutasse a riscoprire la nostra autentica vocazione? E se quella vincita invece ci desse alla testa al punto da spingerci ad allontanare da noi chi amiamo?
Se gli obiettivi che ci poniamo e che magari raggiungiamo sono importanti, ad essere decisivo è lo scopo per cui ce li siamo prefissati, è ciò che ne facciamo una volta che li abbiamo raggiunti. Dovremmo chiederci, prima di desiderare qualunque cosa, cosa ne faremmo una volta che l’avremo ottenuta. Perché è ciò che ne faremo a essere il nostro autentico obiettivo, non la cosa desiderata in sé. Quella è solo un veicolo, un mezzo, un tramite. Passerà, come sono passate mille altre cose e persone conosciute e sedotte solo per noia o per il gusto di desiderare quanto momentaneamente ci sembra irraggiungibile. A restare potrà essere solo il nostro autentico capitale, da investire e da far fruttare all’infinito, qualunque evento ci coinvolga e stravolga: è il valore intrinseco da cui dipenderà qualunque cosa e qualunque persona potrà capitarci per le mani, non perché in sé quella persona o quella cosa rappresentino il meglio che c’è, ma perché noi saremo determinati a trarne il meglio – a partire dal nostro meglio – E SAREMO CAPACI DI FARLO.
(*) Tony Robbins, SOLDI. DOMINA IL GIOCO. Sette semplici passi per la libertà finanziaria, Bompiani, pp. 217-218
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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Foto di Gerd Altmann da Pixabay
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