Mentre la mente di superficie lentamente capitola, la mente profonda riemerge con la sua voglia di libertà*
Essere di valore, avere dei valori, voler avere a che fare con persone di valore. Cosa può significare tutto questo senza un autentico, intenso lavoro su se stessi?
Proprio perché il valore assoluto di un gesto, di un comportamento, di un ideale non può essere comprato e venduto, esso va ricercato e attivato soltanto tramite un intransigente impegno personale a essere diversi da tutto quanto vogliamo cancellare dalle nostre esistenze. Non serve a nulla ignorare o condannare ciò che non ci aggrada: in questo modo ci autorizziamo subdolamente a ritenerci superiori eppure impotenti di fronte alle contrarietà da cui saremmo limitati e a nostra volta condannati. Neanche indugiare in uno stato vittimistico conviene, perché il ruolo di vittima ci destituisce di un potere prezioso, l’unico in grado di fare la differenza nella nostra vita. È il potere di cui capita di avere sentore per lo più nei periodi di crisi, come dell’oro nel piombo, come del balsamo nel veleno, quando siamo costretti a fare a meno di alcune delle certezze che rendono possibile la normalità del nostro agire – quando la normalità del nostro agire non funziona più.
Si tratta di un processo di autoconsapevolezza, descritto benissimo nei capitoli centrali di “Avrah Ka Dabra – Creo quel che dico” di Dario Canil.
Una parte di te sa esattamente qual è l’autentico centro da cui ottenere risposte davvero appropriate. È una parte che agisce in modo istintuale, libero e diretto. Purtroppo attingi a questa risorsa soltanto in condizioni di emergenza, essendo la tua normalità tarata su un centro non autentico
Quando tutto va da sé, e scorre facile senza arrecarci il minimo disturbo…noi dove siamo? Siamo altrove, a inseguire miraggi di autorealizzazione che modelliamo sui successi degli altri, siamo nell’insoddisfazione di non poter avere di più, sempre di più. E la normalità ci sembra ben poca cosa, se non esattamente il limite alle nostre non meglio precisate potenzialità, all’espressione dei nostri stessi millantati valori. Della “normalità” come un lusso ci accorgiamo solo quando, di colpo, qualcosa la destruttura costringendoci ad attraversare l’angoscia del vuoto. È allora che ci rendiamo conto che
la mente non conosce davvero le cose: può accumulare informazioni sulle cose, ma non può conoscere direttamente” e che “anni e anni di accumulo di schemi di pensiero statici, di storie che la mente si raccontava, lasciano progressivamente spazio al silenzio
Per dare valore alle nostre potenzialità dobbiamo innanzitutto conoscerle. E possiamo conoscerle solo agendo in risposta a uno stato di emergenza, di crisi, che ci costringe a rinunciare a tutte le risposte apprese, ragionate, ponderate, controllate, a tutto ciò che inavvertitamente ci abituiamo ad essere senza mai averlo voluto e scelto davvero.
È questo il vero lavoro da fare: dare valore ai nostri valori facendo coscientemente in modo che creino la Differenza. E si tratta di un lavoro incessante, integrale, entusiasmante. Il lavoro proprio di ogni uomo che voglia imparare ad essere tale. Lavorare non è un di più e non può essere un di meno: è impiegare e dispiegare il proprio essere nel tempo, è giocare se stessi per e con gli altri, è conoscersi, imparare se stessi nell’azione, insegnare a se stessi a non stancarsi di vivere, di vivere non per non perdere quello che abbiamo, siamo, conosciamo, ma di vivere per poter legittimamente aspirare alla libertà che ci spetta. Se lavoriamo per essa, ci spetta. Se lavoriamo per essa, liberi lo siamo già.
(*) Dario Canil, Avrah Ka Dabra – Creo quel che dico, L’Età dell’Acquario, Torino
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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