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Se per Gioco Fosse Vero: LA KABBALAH E LA LUCE (2/2)

di Margherita Cardetta 21 Agosto 2014
di Margherita Cardetta 21 Agosto 2014
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Incredibilmente, rimasero fedeli a D-o, che soffrì insieme a loro ad Auschwitz, Bergen-Belsen e Treblinka.

Come fecero a rattoppare e a rammendare i loro corpi spezzati, le loro menti spezzate e i loro cuori spezzati? Da dove raccolsero la voglia di vivere e in più l’audacia di portare delle nuove vite in un mondo privo di sicurezza?

Jonathan Falcone, “Kabbalah pratica”

Da dove trassero la luce per illuminare anche solo un millimetro di strada davanti a sé, quanto bastava per poter dire di avere ancora qualcosa da fare, da dire, da aspettare? La Luce.

Il termine Luce è soltanto una parola in codice, una metafora usata dagli antichi cabalisti per convogliare il vasto spettro di appagamenti cui gli esseri umani aspirano. Rimanda a tutti i “colori” della gioia che le persone vanno cercando

Yehuda Berg, “Il potere della Kabbalah“).

Dove si nasconde questa Luce quando siamo oppressi dai nostri mali, quando sembra non ci sia altro che opposizione ai nostri sforzi per respirare, per affermare ed espandere il nostro bisogno ancestrale di trovare risposte, conforto, appagamento? Yehuda Berg, ne:”La Kabbalah e i 72 nomi di Dio” ci invita a immaginarci bambini intenti a giocare a nascondino coi nostri amici:

Immaginate che uno dei vostri amici abbia deciso di nascondersi dietro un grosso cespuglio di rose. Prima che riusciate a trovare lui, dovrete localizzare il cespuglio. Nella vita funziona allo stesso modo: prima di poter trovare la Luce, dovrete scoprire il suo nascondiglio: (…) la Luce si nasconde dietro l’ego e dietro ciascuno dei suoi tanti tratti reattivi

Eccoci nel cuore della questione: chi è oberato da un qualunque conflitto interiore apparentemente insanabile e/o crede di avere il mondo contro, per la Kabbalah, è più vicino a trovare la Luce rispetto a chi conduca una vita tranquilla, ordinata, apparentemente impeccabile. Pensiamo alla parabola del figliuol prodigo, che per un attimo di sincero ravvedimento riesce a meritarsi le benedizioni del padre mentre il fratello che è sempre rimasto accanto al genitore rileva in questa ricompensa un’ingiustizia nei propri confronti. Sulla carta avrebbe ragione a lamentarsi. Entrambi i fratelli rappresentano alcuni aspetti dell’ego: il desiderio di concedersi lussi di ogni tipo l’uno e il sentimento di gelosia verso chi sembrerebbe passarla liscia l’altro. Ma mentre il fratello “impeccabile” cede all’impulso reattivo di criticare un comportamento esterno a sé che non condivide, il fratello “redento” ha operato una trasformazione nella propria coscienza, ed è questa, agli occhi del padre, a valere più di ogni tranquilla obbedienza. Il figliol prodigo si è messo a confronto con un tratto specifico della propria personalità e lo ha trasformato da limite in punto di forza. La Bibbia abbonda di esempi di comportamento proattivo contrapposto all’agire reattivo tipico dell’ego.

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Che cosa si intende per comportamento proattivo? Un livello di consapevolezza che trascenda la mera reattività

Rav Berg

È più importante dimostrare le proprie ragioni o cogliere l’opportunità di cambiare in meglio se stessi? È più importante vedere punito chi ha sbagliato o vedere in chi ha sbagliato l’immagine di noi stessi perennemente esposti a un impulso simile, cui magari non abbiamo mai dato sfogo ma che comunque riconosciamo come tratto peculiare della natura umana? L’ego non è un incidente di percorso cui possiamo soccombere o meno, è un tratto permanente della condizione umana…è mio, tuo, nostro, vostro, di tutti. A che serve istituire tribunali e luoghi di espiazione, punire e condannare quando ciò per cui correntemente si sbaglia è la natura stessa della nostra mente e del nostro naturale modo di rapportarci ad essa, come se fosse un velo trasparente, inoffensivo? Quel velo quasi invisibile che ci separa da noi stessi è un luogo sconfinato nel quale ci si può perdere con la stessa facilità con cui si può accogliere la gioia più intensa. Proviamo a sentire la grana, l’odore, il colore di questo luogo adimensionale che ci separa e ci unisce, proviamo a fare attenzione al modo in cui si insinua nelle nostre certezze o si assottiglia quando ci emozioniamo nell’abbracciare una persona cara… proviamo a cogliere il momento in cui inizia a imporci una reazione che in realtà il nostro animo disapprova, proviamo a osservare la stessa dinamica in chi ci sta sorridendo o offendendo…è sempre lo stesso terribile meraviglioso impalpabile velo che ha il potere di oscurare e di rivelare la Luce. Come una leggendaria siepe di Recanati:

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s’annega il pensier mio:

E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Che la presente e viva stagione abbia sempre argomenti più forti di ogni umanissimo dolore, risentimento, lamento.

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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Margherita Cardetta
Margherita Cardetta

Margherita Cardetta è nata a Gioia del Colle il 3 luglio 1978. Dopo la maturità classica ha proseguito con gli studi umanistici conseguendo la laurea in Lettere Moderne e una Laurea Triennale in Filosofia, presso l’Università di Bari. Parallelamente ha continuano ad arricchire e a stimolare la sua vita anche al di fuori degli ambiti accademici, considerando proprio la vita di ognuno di noi la vera università e il vero banco di prova per qualunque ricerca, da portare avanti con interesse e passione, per trovare la “chiave magica” per la serenità dell’anima.

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