Concludiamo questo 2015 percorso attraverso il filtro tematico dei “valori” esplorando in due tappe il valore più rivoluzionario di tutti: il perdono. Un’esperienza che Daniel Lumera, ideatore del percorso formativo “My Life Design“, propone come ‘filosofia’ evolutiva. Ottica affascinante che ci permette di guardare al perdono come a un’area in cui si sviluppano interessanti implicazioni reciproche tra il perdono stesso, la gratitudine e l’amore incondizionato, passando per l’accettazione del passato (quel passato che ancora permane a impedirci di vivere appieno il presente), che rappresenta la chiave di volta di ogni trasformazione, piccola o grande che sia.
Parliamo sempre di valori, valori che nella realtà economica, politica, sociale – ma in prima istanza nella realtà di pensiero prevalente – con cui dobbiamo confrontarci sono ritenuti belli ma inutili perché improduttivi, impegnativi ma sterili – superati, perduti, quasi stucchevoli. Di contro, in un sistema che apparentemente trabocca di opportunità, veniamo sempre invitati ad approfittare di occasioni ogni volta proposte/imposte come irrinunciabili, irripetibili, convenienti. Ma cos’è che conviene veramente? Cosa rappresenta davvero l’occasione, l’opportunità “di valore”, quella che vale la pena cogliere? Quella in grado di lasciarci ancora risentiti, indolenziti e manovrabili – o quella in grado di stimolarci a incarnare attivamente (partendo da noi stessi, anche “solo” da noi stessi) quel cambiamento globale di cui in molti avvertiamo l’esigenza? Viviamo tra gente “senza cuore”? Allora provochiamo la nostra mente, invitiamola a scoprire in noi stessi cosa significhi – invece – “avere cuore”, ovvero essere nel cuore, essere nell’organo che è in grado di percepire l’unità esistente fra mille drammatiche divisioni. Perdonare, tra le vie strette e forse scandalose di questo percorso, non è una resa, non è una concessione, non è un atto di accondiscendenza: è esattamente il contrario.
Perdonare richiede coraggio, anche se in una società competitiva basata sulla colpa e sulla punizione come la nostra, è spesso considerato un atto di debolezza e d’inferiorità. D’altra parte la stessa parola coraggio deriva da ‘cor habeo’, che vuol dire ‘ho cuore’ e non è riferita solamente al fatto di essere sfrontati davanti al pericolo, ma soprattutto alla capacità di amare. Per questo il perdono è una provocazione contro la freddezza di chi ha dimenticato che cosa voglia dire avere veramente cuore*
Iniziamo con lo sgombrare il campo da ciò che, in questa prospettiva, il perdono non è: non è teso a liberare l’altro dalla responsabilità di averci ferito, perché l’altro è responsabile quanto noi dei propri passi e non avremo mai il potere di interferire con la sua coscienza al posto suo, così come nessuno potrà alleviare il nostro rimorso qualora non avessimo il modo o la forza di porre concretamente rimedio a un errore che abbiamo commesso. Il perdono che tra noi possiamo accordarci non può pretendere la cancellazione di ciò che è stato, in nessun caso. Si tratta semmai di un modo per assimilare ciò che è stato, per rielaborarlo e per convogliarne i risaputi, deleteri effetti in un diverso atto percettivo che contempli l’idea, l’intento di un nuovo inizio nel dramma del dolore che ancora viviamo, un dolore solo nostro. Se con la coscienza altrui non potremo mai interferire, nei confronti della nostra coscienza – anche quando sentiamo di essere bloccati – il potere di cui disponiamo è totale. Totale come totale è la nostra solitudine al cospetto di qualunque sofferenza autentica: anche se è stata provocata da altri, da chi è andato via, da chi non se ne vuole andare, da chi non se ne rende conto, da chi sceglie di non fare nulla, di non sentire, di ignorare…di quella sofferenza diventiamo paradossalmente gli unici, totali responsabili. Responsabili nel senso che siamo gli unici a poter cercare e a poter trovare una risposta efficace, una cura, un senso a questa sofferenza…a costo, sì, di inventarceli. Avere cuore significa talvolta inventarsi la strategia giusta per tornare ad amare…e solo a quel punto si potrebbe intuire, comprendere in che modo sia possibile persino arrivare a ringraziare chi ci ha danneggiato. Perdono, amore incondizionato, gratitudine…implicazioni incrociate che disegnano una strada sicuramente assurda se valutata attraverso i parametri di percezione degli eventi che ci sono più prossimi, più automatici.
Per questo Lumera parla di provocazione e di coraggio. Potrei ringraziare chi mi ha provocato un male solo dopo aver riscoperto il potere dell’amore senza condizioni che il perdono può riattivare o rendere accessibile per la prima volta. Il perdono non è mai fine a se stesso, e soprattutto non è un peso che in quattro e quattr’otto possiamo sollevare e gettare in mare: è un processo, e il suo valore consiste proprio nell’opportunità che ci offre, pian piano, di scoprire sotto il dolore che blocca altri due valori fondamentali: quelli dell’amore e della gratitudine. Valore e potere sono racchiusi in questo triangolo virtuoso. Ciò che non perdoniamo, anche a noi stessi, è proprio ciò che ci appesantisce in un incedere incerto, faticoso, ridondante. Dunque, il punto non è: libero o non libero l’altro dal senso di colpa (anche quando dimostra di non provarlo)?, ma: fino a quando voglio continuare a farmi definire, etichettare e inchiodare dal male che ho subito, dal dovuto che mi è stato tolto, dalla gioia di vivere che un giorno tu mi hai spento dentro? Ti perdono non perché posso cancellare il mio dolore, ma perché voglio superarlo; e ti amo non perché ho dimenticato, ma perché perdonare mi dà il potere di accedere a un amare nuovamente fluido e libero, in cui e per cui tutto ridiventa possibile; e ti ringrazio perché, indipendentemente dalla tua responsabilità e dai tuoi intenti, proprio tu mi hai permesso di crescere e di accorgermi di potermi amare così come sono, qui, ora. Mi perdono per aver sofferto, nonostante tutte le mie ragioni; mi amo perché mi sto permettendo di andare oltre, di essere quello che voglio essere; e mi ringrazio perché non mi sono arreso al mio dolore.
Il perdono autentico permette di recuperare la consapevolezza di essere artefici della propria vita. Perdonarsi vuol dire accettarsi. Accettarsi vuol dire lasciare andare le energie bloccate (risentimenti, odio, rancore, vendetta, giudizio). Il perdono è una forma per collegarsi profondamente con se stessi e con energie che altrimenti rimarrebbero inaccessibili*
(*) D. Lumera, I sette passi del perdono, Bis Edizioni 2013, pp. 85 e 121
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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