L’irrazionale pienezza della vita mi ha insegnato a non scartare alcunché, nemmeno ciò che va contro tutte le nostre teorie: la sicurezza, la certezza e la quiete non portano mai a nessuna scoperta
Dieci anni fa vagavo più per noia che per reale curiosità in una libreria della città in cui stavo portando a termine i miei studi universitari – o almeno così credevo. Ero a un passo dalla meta, eppure una sommessa e sfuggente cappa di insoddisfazione mi impediva di vivere quel periodo con l’entusiasmo che accompagna l’imminenza di un traguardo a lungo accarezzato. La mia mente era come ipnotizzata dallo sforzo inconsapevole di aggirare domande che mi avrebbero costretta ad ammettere l’evidenza: non avevo il coraggio di chiedermi a cosa potesse servirmi ciò che avevo studiato al liceo, all’università; non avevo la forza di chiedermi in che modo quanto credevo di aver appreso avrebbe potuto fare la differenza nella mia vita, da quel momento in avanti.
Avevo seguito la strada che avevo sempre desiderato seguire, stavo per ottenere la laurea in Lettere che sognavo da bambina e che avevo pure messo nero su bianco in un tema di terza elementare. Ma la ragazza giunta a qualche metro dal traguardo non sembrava avere più nulla in comune con quella bambina così serena e sicura di sé, e quello stesso traguardo, visto da vicino, non sembrava più così speciale. L’orizzonte davanti mi si chiudeva intorno come una fune da rodeo. Ci sono arrivata, bimba, ma tu questo momento non l’avevi previsto, non potevi. Non potevi immaginare anche l’angoscia del vincitore che centra il bersaglio accorgendosi di non essersi mai preoccupato di cosa farne, dopo.
Stavo perdendo lo slancio che mi aveva sostenuta per tanti anni, e solo perdendolo mi resi conto del ruolo fondamentale – quanto inavvertito – che aveva avuto nella mia vita. Negli ultimi tempi la mia attenzione, a briglia sciolta, era stata catturata da vari problemi familiari, in particolare dalle difficoltà comunicative con mia madre. Tra le domande che evitavo di pormi c’era anche quella che riguardava il motivo per cui lo studio dovesse essere così importante se non era in grado di essere d’aiuto nella vita quotidiana, nel rapporto con se stessi e con chi ci è vicino.
Tentando di non mostrare il fianco al pungolo di tali domande, mi ritrovai a fissare la copertina blu notte con caratteri dorati del Libro dei Mutamenti, meglio noto come I Ching. Sommariamente lo conoscevo come una raccolta di esagrammi (ottenuti da sei combinazioni di linee intere e spezzate) a uso oracolare. Non aveva mai destato la mia attenzione, ma quel giorno, a culmine di una tensione interiore che mi stavo sforzando di contenere, mi apparve come nuovo e interessante. Lo comprai e ne lessi in treno la prefazione, curata da quel Carl Gustav Jung del quale, tra l’altro, da pochi giorni avevo iniziato a leggere l’autobiografia. Coincidenze, come ne capitano specie quando troviamo il coraggio di non eludere le domande che affiorano alla nostra coscienza e, quindi, ci apriamo a ricevere una o più risposte. Sembra banale, invece è una condizione essenziale: se non ci assumiamo interamente il carico di una domanda non possiamo passare allo stadio successivo rappresentato dalla risposta che, a sua volta, non è che l’anello di congiunzione con la domanda successiva: è tutto collegato, anche quando sembra senza senso.
A distanza di dieci anni, posso dire che quel giorno della primavera incipiente del 2004 quel libro ha rappresentato una delle risposte possibili, eppure la migliore che potessi augurarmi alla congerie di domande che, impaurita, tentavo di rimuovere.
Per ogni caso, quindi, non vi è che una risposta, la prima essendo anche l’ultima
Una risposta spiazzante, un libro che solo qualche tempo prima non mi sarei mai sognata di leggere – di desiderare di leggere. I nostri desideri, le nostre esigenze sono soggetti a continui mutamenti, ma l’adesione a un’immagine cristallizzata di noi stessi e di come dovrebbe procedere la nostra vita ci impedisce di avvertirte i segnali di cambiamento con serenità e li percepiamo piuttosto come indici di pericolo, ostacoli, sguardi ostili. Avrei potuto scegliere di reagire in modo diverso, chiudendomi ulteriormente o volgendomi all’ovvio, per distrarmi, per ottenere sterili conferme, invece il tedio verso ciò che avevo e conoscevo mi portò ad arrendermi all’evidenza dell’insoddisfazione che provavo e non appena iniziai ad ammetterla a me stessa ecco che il mio sguardo mi portò a vedere in modo diverso ciò che supponevo non potesse piacermi. Un libro di “risposte”, come ne esistono tanti in commercio, gli esagrammi, linee intere (yang) e spezzate (yin), monetine da gettare in aria, testa o croce… volevo vederci più chiaro… in quel libro come in me stessa. Una nuova intenzione, un nuovo bersaglio… solo pochi minuti e mi sembrò di essere un’altra. E il Libro dei Mutamenti, essenzialmente, è di questo che parla:
l’evento microfisico include l’osservatore esattamente come la realtà che forma il sostrato dell’I Ching abbraccia le condizioni psichiche nella totalità della situazione momentanea; i sessantaquattro esagrammi sono lo strumento mediante il quale si può determinare il significato di sessantaquattro situazioni differenti e insieme tipiche
(*) i brani citati sono tratti tutti dalla prefazione di Jung alla traduzione de I Ching di Richard Wilhelm
segue su Jung e l’I Ching (2/2)
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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