Bari, ora di punta.
Schiacciati come sardine nel pullman, chi seduto, chi ancora in piedi, seguivamo impazienti le manovre che prima o poi ci avrebbero sospinti oltre l’ingorgo di via Amendola per imboccare finalmente la statale e tornare il più rapidamente possibile ciascuno alle proprie vite, quelle che comunemente si pensa possano snodarsi solo oltre gli imprevisti, i rallentamenti, le deviazioni. All’ennesima frenata, il mio sguardo fu catturato da un clochard seduto ai bordi del marciapiede… poco prima che il pullman ripartisse ho avuto la prova tangibile di come la bellezza sia uno stato interiore, dapprima inimmaginabile, successivamente labile, infine dirompente. Il suo sguardo era diretto verso qualcosa al di là del finestrino attraverso il quale stavo osservando la scena… ma il suo puntino di interesse stava guadagnando rapidamente terreno fino a raggiungere trafelato e festante il centro esatto dell’attenzione non soltanto mia, ma di tutti i passeggeri… guardaaaa! che BELLO!!! …un barboncino gli stava correndo incontro, lo abbracciò con lo sguardo e il sorriso rivolti al cielo, come se al mondo in quell’instante non potesse esistere un essere più felice di lui.
Fu in quell’istante che la mente, ancora disorientata dalla sorpresa, mi restituì il riflesso di un pensiero destinato ad essere più volte messo alla prova e a rinascere ogni volta dalle ceneri dei luoghi comuni: la felicità non è un treno da aspettare, ma una scelta, ovunque e sempre alla portata di tutti. La felicità, come la bellezza, ha un potere immenso, ci chiede solo una cosa: di farci da parte, con i nostri problemi, con i nostri programmi rispetto ai quali il momento presente è sempre in anticipo o in ritardo. La felicità non aspetta quando non siamo pronti, se ne va… lasciandoci soli con le nostre convinzioni, dotti e miseri.
All’epoca anch’io, come tutti su quel pullman, non vedevo l’ora di tornare a casa per fare tutto quanto avevo in mente di fare. Anch’io avevo mancanze da tamponare, nostalgie da gestire, dolori e ansie da contenere… mille alibi per non dare a una scena del genere il tempo di stagliarsi nel vano socchiuso del mio cuore. Eppure la bellezza, prendendoci in coro in contropiede, si rivelò più forte. Più forte di ogni considerazione di carattere sociale, politico e culturale che in certi casi verrebbe spontaneo fare… perché dobbiamo subito correre a commentare gli eventi, altrimenti è come se non fossero accaduti. Invece di fronte a eventi simili bisognerebbe stare come al cospetto di un luogo sacro, nell’ora della rivelazione. Mantenersi disarmati e stupiti e non aver paura delle parole che tardano ad arrivare.
Così si conosce l’intervallo tra la coscienza e il pensiero, così si può arrivare a intuire che essere coscienti non significa solo avere dei pensieri in merito a qualcosa, ma vivere, innanzitutto. Respirare, accorgersi di respirare. Accorgersi del dolore del mondo, ma anche della sua sublime e gratuita bellezza… una bellezza che guarisce, conforta, trasforma…se siamo disposti ad accoglierla come un evento, non semplicemente come un caso fortuito o peggio ancora alla portata di un circoscritto numero di esemplari, più o meno vivi, corrispondenti a canoni estetici prestabiliti.
Se qualcuno di voi ha vissuto un evento del genere, è ora di recuperarlo, di portarlo in primo piano, è ora di iniziare a prenderlo sul serio, come l’inizio di un percorso e non come l’ennesima deviazione. Se qualcuno di voi non crede al potenziale straordinario insito in dettagli simili, indubbiamente marginali al cospetto della tremenda serietà del mondo… l’invito è valido a maggior ragione. Perché io per prima sono stata nell’una e nell’altra “schiera” e prima di scegliere la prima ho abitato la seconda in lungo e in largo.
“Se per gioco fosse vero” vorrebbe essere l’esplorazione di un viaggio possibile, non più di questo. Ma con tutta la felicità e la bellezza del mondo.
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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