In una società altamente competitiva che ci ha inculcato l’attitudine permanente alla discriminazione e all’ansia da prestazione la sfida più grande è rappresentata dalla necessità di guadagnare una vigile ma non punitiva autocritica per ridurre al minimo i rischi del lassismo, per non cadere a peso morto nella stessa dinamica binaria (bello/brutto, vincente/perdente, in/out) che tanti automi fanatici ha prodotto. I brani che proporrò in questo e nel prossimo appuntamento sono tratti da “Cambia l’abitudine di essere te stesso” di Joe Dispenza, un libro fra i tanti che si possono trovare in giro sull’applicazione di alcuni principi legati alla fisica quantistica nella vita quotidiana. L’autore ci dice subito su cosa vale la pena agire per ottenere i riscontri pratici che soli potrebbero darci quella base “oggettiva” in grado di mettere seriamente in gioco la tesi di una realtà, di un universo che si regge su infinite potenzialità coesistenti, delle quali solo quella che diamo per scontata, quella che non osiamo mettere in discussione, quella che inconsciamente ci aspettiamo, si concretizza – diventando, per molti, l’unica realtà possibile.
Ebbene, per cominciare a prendere in considerazione l’idea che le cose possano stare diversamente bisognerebbe tornare al monito criptico dell’oracolo di Delfi, nel quale tutti almeno una volta ci saremo imbattuti: CONOSCI TE STESSO. Dispenza, a tal proposito, chiosa:
la più grande abitudine da cambiare è quella di essere se stessi
Perché per quanto non abbiamo scelto il nostro nome, la nostra nazionalità, il nostro sesso, il nostro corpo, la famiglia e il tempo in cui siamo nati e le condizioni generali in cui ci ritroviamo a vivere, l’unica cosa su cui potremmo ragionevolmente sperare di riuscire a incidere – imprimendole un cambiamento che dipenda esclusivamente dalla nostra volontà – è ciò di cui siamo consapevoli, qui e ora. Questo è l’unico campo in cui diventa per noi possibile mettere mano a un percorso altrimenti segnato da abitudini atrocemente estranee alla nostra segreta natura. Abitudini che in un niente si sono già fatte destino, ovvero proprio quella realtà che diamo per ovvia in un universo di infinite probabilità mai prese fattivamente in considerazione. E allora tutto dipende da noi, da quanto davvero non siamo più disposti a sopportare, a soffrire della nostra vita e delle situazioni che ci ripresenta, tutto dipende dalla voglia che abbiamo di allargare i confini del nostro mondo per liberare il corpo che duole (la nostra memoria subconscia) dai limiti che lo hanno spaventato, indurito, solcato, atrofizzato.
Dal momento che il corpo diventa la mente subconscia (…), nell’istante in cui produciamo un pensiero, una sensazione, una reazione, il corpo inserisce il pilota automatico. Quando il corpo ha memorizzato un pensiero, un’azione, una sensazione al punto da diventare la mente (cioè quando mente e corpo sono un tutt’uno), siamo il ricordo di noi stessi. In verità, dovrebbe essere il corpo a servire la mente. Ma se i ruoli si scambiano, allora il servo assurge al ruolo di padrone. Quando la nostra mente cerca di riguadagnare il controllo, il corpo invia segnali al cervello per dissuaderci dai noatri obiettivi consci. Farà leva su tutte le nostre debolezze, che conosce e alimenta, e le scaglierà contro di noi una per una*
Il ragionamento di Joe Dispenza ha richiamato alla mia mente altri brani, scritti da autori di grande levatura. Li facciamo interagire tra di loro, a riprova dell’universalità del tema riproposto e rilanciato dalla fisica quantistica: se non si è responsabili della propria condotta, si è destinati da se stessi a servire padroni ciechi e impietosi.
Nulla mai fu per l’uomo e per la società umana più insopportabile della libertà! Ma vedi queste pietre per questo nudo e rovente deserto? Convertile in pani e dietro a Te l’umanità correrà come un branco di pecore (…). Ma Tu non hai voluto privar l’uomo della libertà, giacché dove sarebbe la libertà (hai ragionato Tu), se il consenso fosse comperato con il pane?**
Ma perché accetti te, quel qualunque te che ti succede di essere? (…) Non credo sia per ambizione. Forse per pigrizia? O convinzione che non serva a nulla poggiarti su altro, coltivare qualità che non hai…?***
J. Dispenza, Cambia l’abitudine di essere te stesso, MyLife 2012, p. 89
** F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Einaudi, Torino 1993, p. 337
*** C. Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 1997, p.317
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Articolo di Margherita Cardetta per generazionebio.com
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