Negli ultimi giorni mi sono ritrovata inaspettatamente popolare per un articolo che ho scritto e che ha avuto ampia diffusione. Il pezzo era uscito originariamente su generazionebio.com, su dontstopeating.com in una versione inglese, ed è stato poi ripreso da traterraecielo.it, libero.it, Secolo XIX, su L’Huffington Post, su Repubblica online, Liberoquotidiano.it e blogdilifestyle.it.
Queste ultime cinque testate hanno distorto il messaggio, che parlava del raggiungimento di una maggiore consapevolezza, fino a trasformarlo in una “apologia delle carni”, il racconto di una “pentita” finalmente tornata alla ragione. Da “Perché ero veg* e adesso non lo sono piu”, il titolo è stato trasformato in “Dopo nove anni di veganesimo ritorno alla carne. Puro godimento” e “Sono tornata alla carne. Ne mangio molto poca ma…” (sic).
Viene da chiedersi di quali capolavori siano capaci i giornali quando torna comodo strumentalizzare notizie che toccano ben altri interessi.
Ho ricevuto tanti messaggi di stima e gratitudine da molti lettori. Non mi preoccupo dei commenti negativi, (che spaziano da “secondo me non sa cucinare, è per questo che nella dieta vegetariana non ha trovato il puro godimento, “e mangia sta carne e non rompere!”, al sempre in voga “troia senza cervello”), né del senso di violazione che ho provato vedendo pubblicare mie foto personali senza consenso e fuori contesto (tra l’altro una vestita da Frida Khalo (foto di veronicaonofri.com) con tanto di fiori in testa e sigaretta che ha ispirato lo spassosissimo “vegana vegana ma poi fumare si, eh?!”), ma dell’essere utilizzata come veicolo per diffondere un messaggio non mio.

Photo by @dividedlightcreations
Naturalmente mi rendo conto che scrivendo di come e perché sono stata prima veg* e poi no mi sarei attirata lo stigma di alto tradimento da parte di chi si riconosce in una data corrente e non ammette diversità. Va bene così: chi ha avuto l’interesse a leggere l’intero articolo ha tutti gli strumenti per riconoscere la mia volontà di muovermi da uno spazio più ampio di quello imposto dai dogmi di qualsiasi fede, scientifica inclusa.
Non ribatto agli insulti, ai commenti sprezzanti e al fango che mi è stato gettato addosso per non farmi trascinare dentro ed essere battuta da chi, in questo, ha molta più esperienza di me. Non entro nel merito delle mille capillari obiezioni che mi sono state mosse e non sarò certo io a far cambiare opinione a chi è interessato solo a confermare il proprio punto di vista. Non sento il bisogno di dare spiegazioni su mie scelte personali, tantomeno in questa sede in cui vengo messa all’indice da chi, volutamente, distorce il mio messaggio e orienta le critiche per promuovere il ritorno nei ranghi di uno stile di alimentazione menefreghista, crudele e ormai insostenibile.
Scelgo invece di cogliere l’occasione di questa inaspettata notorietà per ampliare il concetto. Includere la possibilità di mangiare carne è un modo per riconoscere un dato di fatto: il mio corpo la richiede e io riparto da qui invece che da una rigida proibizione. Quali diversi e migliori scenari si possono creare adesso? Conosco bene la disumanità dei macelli e della catena produttiva della carne e sarebbe fantastico se nessuno la mangiasse; solo non lo trovo realistico.
Per alcuni la veganità è una scelta consapevole e posso solo esserne felice. Ma la maggior parte delle persone mangia carne e far ricadere giudizi e biasimo su costoro non fa che creare ulteriori separazioni, incomunicabilità e prese di posizione estreme.
Quando ero vegan, spesso le critiche più pesanti mi arrivavano da persone anziane, alle quali la mia scelta appariva come una moda borghese da ragazzina viziata. A loro chiedevo: ma lei alla mia età quanta carne mangiava? E in genere la risposta era si e no una volta a settimana, a Natale, in occasioni speciali. Neanche così, devo dire, la sofferenza di quegli animali mi lascia indifferente: una parte di me vorrebbe sempre poterli salvare tutti, compresa la gazzella che ha perso la gara di corsa col leone. Ma sono in grado di vedere la differenza tra QUEL mangiare carne, necessariamente contenuto, e la follia del consumo attuale che ha perso il senso di necessità e gratitudine verso l’animale che sacrifica in favore di un approccio del tutto edonistico, commerciale e disumano. Mi chiedo quali altre possibilità di consumo, più sostenibili di quelle attuali, potrebbero realizzarsi se superassimo questi conflitti e abbracciassimo una maggiore consapevolezza, partendo da quello che è certo; come il fatto che a questo mondo è da sempre presente una certa porzione di dolore.
L’accettazione e’ il primo passo verso il cambiamento.
ISCRIVITI AL NOSTRO CANALE UFFICIALE SU TELEGRAM PER RICEVERE E LEGGERE RAPIDAMENTE TUTTI I NUOVI ARTICOLI
Articolo di Sibilla Iacopini per generazionebio.com
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto di Depositphotos.com
Tutte le immagini e i contenuti di questo articolo sono protetti da copyright. Immagini non utilizzabili senza riferimento all’autore originale, come da articolo originale pubblicato su GenerazioneBio. Per riproporre l’articolo con qualsiasi modifica, è richiesta l’autorizzazione all’autore, all’email sibillaiacopinipressCHIOCCIOLAgmail.com oppure è richiesta la riproposizione dell’articolo integrale inserendo un link che punti alla fonte originale.