Siamo ciò che mangiamo
è una frase che sentiamo spesso. Si tratta di un’affermazione presa in prestito dal filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, che già alla fine del 1800 scriveva dell’influenza che ha il cibo non solo sul nostro corpo, ma anche sulla nostra psiche. In sostanza, secondo Feuerbach, per pensare bene occorre anche alimentarsi bene. Lo stesso vale per le nostre abitudini e i nostri comportamenti quotidiani, anch’essi fortemente condizionati dal tipo di alimentazione che seguiamo.
Oggi facciamo davvero poca attenzione a ciò che ingeriamo, ipnotizzati dall’abbondanza di proposte sul mercato e inconsapevoli di quanto il cibo non andrà solo a soddisfare il nostro appetito, ma anche il fabbisogno nutrizionale del nostro organismo.
Come affermava il professor Gustav Von Bunge, anch’egli tedesco come Feuerbach e noto per i suoi studi sulla nutrizione, la vita è basata sulla trasformazione di sostanze, mediante un processo attraverso cui si liberano energia ed efficienza. Il cibo entra a far parte di noi, dei nostri processi chimici e metabolici, nutre ogni cellula e si trasforma nella nostra energia vitale.
Il concetto di energia vitale è fondamentale in questo contesto. Normalmente pensiamo al cibo come a una sostanza costituita da proteine, carboidrati, vitamine, sali minerali e lipidi. Ma, oltre al valore nutrizionale, ogni alimento è dotato anche di un’energia vitale propria.
Oggi sappiamo che tutto ciò che esiste in natura è energia, vibrazione in movimento. Questo significa che anche il cibo di cui ci nutriamo presenta queste proprietà. A teorizzarlo fu l’ingegnere francese André Simoneton che, stimolato da ricerche scientifiche precedenti, si occupò degli effetti che hanno gli alimenti sul corpo umano. Lo fece misurando, attraverso dei sistemi molto sofisticati, dapprima le radiazioni emesse in media da una persona sana e poi le radiazioni emesse dai diversi cibi, arrivando a classificare gli alimenti superiori, gli alimenti di sostegno, gli alimenti inferiori e gli alimenti morti.
Un organismo sano, secondo le dimostrazioni empiriche di Simoneton, emette intorno ai 6500 Angstroms; frutta fresca, verdure cotte a meno di 70°C o crude, farina integrale, mandorle, noci, uova di giornata e burro fresco (alimenti superiori) emettono tra i 10000 e i 6500 A°; latte di giornata, zucchero di canna integrale, miele e legumi cotti (alimenti di sostegno) emettono tra i 3500 e i 6500 A°; carne cruda, caffè, latte bollito, piane bianco e cioccolata (alimenti inferiori) emettono radiazioni al di sotto dei 3000 A°; zucchero bianco, margarina, conserve alimentari, liquori, alimenti pastorizzati e farine raffinate non emettono energia misurabile.
Nel libro di Simoneton, dove vengono illustrati i suoi esperimenti, è interessante notare come, ad esempio, la frutta non sia sempre sana. Una pera ad esempio, una volta colta, emette vibrazioni vitali per circa 8 giorni, dopo i quali la vibrazione scende a zero. Le pesche emettono vibrazioni vitali per 10 giorni, prugne e albicocche per 15 giorni.
Queste misurazioni introducono una logica molto interessante e oggi assai trascurata: la frutta, così come la verdura, sono alimenti sani se vengono consumati freschi. Una volta maturi e raccolti, con il passare del tempo, anche questi finiscono per rientrare inesorabilmente nella categoria degli alimenti morti. Ecco perché è importante, dove possibile, concentrarsi non solo sulla tipologia dei cibi che introduciamo nel nostro organismo, ma anche sulla loro qualità e freschezza. Da questa considerazione, si deduce l’importanza di prediligere alimenti locali anziché i prodotti importati dall’estero, che presentano un doppio svantaggio. Anzitutto, questi devono percorrere lunghe distanze per raggiungere la grande distribuzione, rischiando che i tempi si allunghino e si metta a repentaglio la loro carica vitale; essendo, inoltre, destinati a mete lontane rispetto al luogo di origine, questi alimenti vengono necessariamente trattati, allo scopo di mantenere il loro aspetto invitante una volta esposti sugli scaffali del supermercato.
Queste considerazioni portano dritte a ragionare anche sull’opportunità di prediligere alimenti biologici rispetto a quelli che provengono dalle colture convenzionali, se non addirittura transgeniche.
Vengono in nostro aiuto a tal proposito gli studi condotti nel suo istituto di Kaiserslautern dal fisico tedesco Fritz-Albert Popp. Quest’ultimo ha ideato un sistema di misurazione dell’emissione di biofotoni da parte degli organismi viventi, comprese le piante. I biofotoni, da lui stesso scoperti, altro non sono che irradiazioni di luce provenienti dalle cellule di qualsiasi essere vivente.
Popp nel suo libro Die Botschaft der Nahrung (Il Messaggio del Cibo) riporta il risultato di alcuni esperimenti, attraverso i quali è stato in grado di dimostrare come negli alimenti coltivati secondo il metodo naturale l’emissione di biofotoni, e quindi il loro valore nutrizionale e vitale, siano molto diversi.
Se prendiamo un pomodoro biologico e uno non biologico, non è difficile notare la differenza sia di sapore che di consistenza. Normalmente, un pomodoro biologico viene lasciato maturare sulla pianta. Questo non sempre vale per le tecniche industriali convenzionali, dove le regole di mercato impongono la coltura del frutto ancora acerbo per consentirne la maturazione durante il trasporto. Per non parlare, poi della presenza di fertilizzanti e pesticidi. Ebbene, Popp dopo un anno e mezzo di studi, insieme ad altri 14 ricercatori, ha rilevato nei pomodori biologici un’emissione di biofotoni doppia rispetto a quelli provenienti da idrocultura, mentre questa si riduceva di un quinto in quelli coltivati ricorrendo alle sostanze chimiche.
Altri risultati sorprendenti sono emersi dallo studio sulla produzione di uova. Nelle uova di galline covate a terra, si registra un’emissione di biofotoni doppia rispetto a quella delle uova di gallina tenute in gabbia, chiuse negli allevamenti.
Sempre Popp è stato in grado di rilevare come l’uso di conservanti riduca in maniera drastica l’emissione di biofotoni.
Tutto questo non fa che confermare la teoria secondo cui ciascuno di noi è ciò che mangia. Ci conferma che gli alimenti non sono tutti uguali e che valutarli solo in base a calorie, vitamine e minerali sia estremamente riduttivo. Con il cibo noi assorbiamo non solo questo, ma anche le bio-informazioni di una pianta o le informazioni vitali dell’animale che mangiamo.
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Articolo di Monica Vadi per generazionebio.com
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