Immagina di svegliarti all’alba, quando fuori è ancora buio. Magari di soprassalto. Per un attimo provi una sorta di disorientamento. Fatichi a collocarti in uno spazio e in un tempo ben precisi.
Poi, lentamente, ti àncori nel presente e ti avvii verso le tue attività quotidiane. Prima ti dedichi alla tua routine mattutina, poi esci di casa e ti immergi nel mondo.
Vai al bar, sfogli il giornale, ascolti l’autoradio e parli con le persone.
In questo modo, entri gradualmente nel mondo in cui vivi e ti allontani dal sonno.
Vivere un’esperienza spirituale non è molto diverso. Si entra nel mondo spirituale quando si inizia a ricevere informazioni e percezioni che derivano da una dimensione più ampia rispetto a quella materiale. Il che non significa entrare per forza in connessione con esseri multidimensionali, parlare con fatine e gnomi, canalizzare alieni e arcangeli – attività molto in voga al momento – ma semplicemente andare oltre a ciò che i nostri cinque sensi si limitavano a cogliere prima. Perfezionare l’attività sensoriale e immergersi in ciò che è.
E così che cambiano le interazioni, che cambia la prospettiva.
La quantità di energia percepita aumenta e l’impressione che passato, presente e futuro coesistano in un unico flusso che si muove armonioso si fa sempre più vivida.
Più ci sintonizziamo con la totalità di ciò che ci circonda, visibile e non visibile, e più il cosmo si sintonizza con noi.
È come se noi, minuscoli elementi di un sistema infinito, imparassimo a integrarci completamente ad esso, trasformandoci in sue piccole ma determinanti parti. Annullando ogni separazione.
L’esperienza spirituale è qualcosa di molto intimo, che ha più a che fare con il percepire, che con il fare. Richiede silenzio e ascolto. Richiede osservazione attenta. Richiede di rallentare e respirare con calma. Imparando anche a stare nel vuoto, se occorre.
Purtroppo oggi l’esperienza spirituale si è trasformata in un grande circo, dove le persone passano trafelate da un’attività all’altra, richiamate dalla promessa comune di raggiungere l’illuminazione in un fine settimana.
Si ignora che la vita stessa è di per sé esperienza spirituale, se la si approccia con una certa visione. E non ci sono corsi, meditazioni, ritiri di gruppo o cerchi magici che possano determinarla se poi non si porta ciò che si è appreso nella vita di ogni giorno.
Così si crea uno scollamento che, anziché all’illuminazione, rischia di portare alla nevrosi. Non a caso incontriamo orde di persone che si definiscono spirituali ma che più che illuminati appaiono fulminati.
Così come la spiritualità non è qualcosa che si indossa. Non è qualcosa che si dice o qualcosa che si fa.
La spiritualità è… “qualcosa che si è”.
Considerando poi che si tratta di un percorso di apprendimento che dura tutta una vita, forse è meglio dire che è “qualcosa che si diventa”.
O ancora meglio, “qualcosa che si torna ad essere”.
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Articolo di Monica Vadi per generazionebio.com
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