Ogni mattina, verso le 6, la signora Mary Ellen Snodgrass ingoia un chip. Questo è incorporato nelle pillole che assume e ha una dimensione inferiore a un granello di sabbia. Quando la pillola giunge nello stomaco, un segnale viene trasmesso al suo tablet, ad indicare che i farmaci per il cuore e la tiroide sono stati assunti correttamente.
Mary Ellen ha 91 anni ed è una ex insegnante in pensione che assume queste pillole per volere del figlio, dipendente dell’azienda che fornisce questa tecnologia e che è in prima linea in quella che molti prevedono come la rivoluzione della medicina, che avverrà a suon di chip in miniatura, sensori, microcamere e robot con la capacità di accedere, analizzare e manipolare il corpo dall’interno.
Essendo sia la dimensione che il costo di queste tecnologia diminuita drasticamente negli ultimi anni, decine di aziende e di gruppi di ricerca universitari si stanno affrettando a produrre chip ingeribili o impiantabili, che aiuteranno i pazienti a monitorare la condizione del loro corpo in tempo reale e in maniera dettagliata.
Già diversi sono i dispositivi approvati dalla Food and Drugs Administration, tra cui un transponder che contiene la storia medica di una persona, che viene iniettato sotto pelle, una pillola telecamera capace di individuare tumori al colon e la tecnologia che la stessa Snodgrass sta utilizzando. Questo sistema viene proposto affinché ci si possa assicurare che le persone anziane prendano le loro pillole.
Gli scienziati stanno già lavorando su prototipi più avanzati. Tra gli altri, ad esempio, dei nanosensori iniettati nel sangue, che possano inviare un messaggio allo smartphone ogni volta che si vedono i segni di un’infezione, di un attacco di cuore imminente o di qualsiasi altro problema. Essenzialmente, lo scopo dichiarato è quello di fornire un’allerta precoce in caso di malattia. Eserciti di piccoli robot con gambe, eliche, telecamere e sistema di guida senza fili sono in fase di sviluppo per diagnosticare malattie, somministrare farmaci in modo mirato ed effettuare persino degli interventi chirurgici.
Se da un lato la tecnologia può apparire alla portata, l’idea di introdurre delle piccole macchine nel corpo mette decisamente a disagio. Sono molte le questioni scientifiche ed etiche che andrebbero esplorate.
Quali sono i rischi che comporta, ad esempio, l’impianto di un chip nel corpo? Come possono i pazienti essere certi che la tecnologia non verrà utilizzata per obbligarli ad assumere farmaci che non vogliono prendere? Potrebbero essere ricavati da questi sistemi dei dati estremamente personali per conoscere le abitudini delle persone e venderli sul mercato nero? Potrebbe quello che si inizia come un esperimento volontario essere trasformato in un programma di identificazione obbligatoria che erode la libertà civile?
Nel 2002, quando dei chip di silicio contenenti, delle cartelle cliniche, furono impiantati in alcuni pazienti affetti da Alzheimer, i sostenitori della privacy fecero una rivolta. Per questo diversi stati approvarono una legge che vieta questo genere di impianti forzati e la tecnologia non è mai decollata. L’uso coercitivo dei chip, sia permanenti che temporanei, preoccupa non poco. Dall’altra parte, però i sostenitori della tecnologia ribattono che questi dispositivi potrebbero salvare innumerevoli vite umane e consentire un risparmio di miliardi di dollari in spese mediche inutili. Del resto, dicono, anche le macchine hanno dei sensori che indicano quando c’è qualcosa che non funziona. Perché non rendere tutto ciò possibile anche per gli esseri umani?
La scienza si sta muovendo così velocemente in tal senso, che sembra che molti di questi gadget saranno disponibili già entro i prossimi cinque anni.
Il chip che ingerisce la signora Snodgrass è ancora in fase di sperimentazione. La pillola è composta interamente da elementi commestibili e contiene un chip della grandezze di 1 mm quadrato di rame e di magnesio, che si attiva quando viene a contatto con gli acidi gastrici. In combinazione, viene usato un cerotto da indossare sul torso. Per 5 minuti, dopo l’ingestione, il chip invia un codice a 16 cifre univoco, che viene prelevato dal cerotto, che a sua volta invia le informazioni ad un tablet. Le informazioni possono essere condivise su internet con i famigliari, i medici e l’azienda produttrice. Il cerotto contiene poi dei sensori supplementari, che tengono traccia delle temperatura, della frequenza cardiaca, dei movimenti della persona e dei suoi cicli del sonno.
Fonte
Photo by Nick Otto/WashingtonPost
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Articolo di generazionebio.com
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