Il significato della parola morte è permeato di cose odiose, perché nella nostra cultura essa rappresenta l’immagine dell’angoscia, del vuoto e dell’ignoto.
Se però mettiamo da parte la parola, o meglio ne rivediamo il significato, questa smette di diventare la porta del nulla e si rivela invece per quella che è: la porta dell’infinito.
Se ad esempio si cominciasse a parlare di trapasso, di passaggio, di metamorfosi o di trasformazione, tutto diventerebbe più leggero.
Morire significa semplicemente che il corpo rende l’anima.
Non ha per forza a che fare con la sofferenza. Questa si manifesta nel corpo fisico quando nel mondo sottile abbiamo seminato una catena di errori che spesso ci trasciniamo attraverso le diverse vite. Nel mondo fisico abbiamo dimenticato la gioia di esserci e di far fruttare la felicità semplice. Basterebbe riconoscere questo per diminuire la sofferenza che costella la nostra esistenza.
Anche perché la sofferenza non è mai una punizione. Non c’è nessuno che distribuisce sanzioni o ricompense: ci sono solo messaggi e messaggeri. Da un’epoca all’altra ci siamo sempre più induriti dietro a corazze di cui bisogna spogliarsi quanto prima.
Il dolore che proviamo è come una ragnatela in cui ci si perde. L’anima si intorpidisce. È una nebbia, un gas che sembra soffocarci.
In questo periodo storico, se si integrasse meglio l’idea della morte nella propria vita, tutto sarebbe più semplice.
Dalla qualità dell’esistenza terrena dipende la qualità del trapasso: le due fasi sono intimamente legate.
Si deve imparare a vivere per imparare a morire e per accettare questo momento come una tappa della nostra esistenza infinita.
Anche di fronte a un corpo senza vita occorre imparare a comportarsi. Con la consapevolezza che questo è diventato solo un vecchio vestito, dal quale lentamente fuoriesce un potenziale eterico. L’istante della morte è un momento sacro di scambio.
Non è più tempo di fuggire. Bisogna piuttosto sviluppare la consapevolezza che dopo ci sarà sempre una particella di ciascuno di noi che vivrà in ogni punto dell’universo, un filo di luce teso in eterno tra sé e chi abbiamo amato.
La morte è una rinascita. Che comporta l’atto di imboccare una via stretta. Tutti la attraverseremo un giorno. Più si sperimenta l’elevazione dell’amore in vita, e più quel passaggio si può allargare, rendendo tutto più semplice. È allora che si scopre che morire può persino significare essere più vivi di alcuni vivi che muoiono dentro mentre sono ancora sulla Terra. È in quel momento che si può sperimentare l’espansione dell’essere, di una coscienza che si dilata e che può contenere ogni cosa. Dopo è come vivere nel cuore di ogni creatura.
Bisognerebbe riscoprire la semplicità di vivere per comprendere meglio la morte. Allora nel corpo di carne dovremmo agire spinti solo dalla forza dell’amore. Dovremmo lasciare che in noi sbocci la compassione.
Tutto è amore. Ovunque.
È un cuore soddisfatto che permette di elevarsi. Che porta pace. Che permette di essere e di partire liberi, verso un oceano di candore.
Dimentichiamoci allora tutte le maschere che abbiamo indossato finora. Non dubitiamo più della vita e di noi stessi. Un corpo sulla terra è uno dei più grandi regali che si possa ricevere e va onorato e accolto ogni minuto che ci viene concesso. Con gratitudine. Con gioia.
Senza sprecare un solo istante.
ISCRIVITI AL NOSTRO CANALE UFFICIALE SU TELEGRAM PER RICEVERE E LEGGERE RAPIDAMENTE TUTTI I NUOVI ARTICOLI
Articolo di Monica Vadi per generazionebio.com
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto di Freepik
Copyright – Se non diversamente specificato, tutti i contenuti di questo sito sono © GenerazioneBio.com/Tutti i diritti riservati – I dettagli per l’utilizzo di materiali di questo sito si possono trovare nelle Note Legali.