La cultura e i media sfruttano spesso il tema della vendetta per ottenere successi cinematografici e letterari.
L’argomento sembra essere così in voga perché si nutre di sentimenti universali come la rabbia e il risentimento. Ma non solo, perché fa ricorso al desiderio di giustizia a cui si appella chi ha subito un colpo basso.
Con l’uso massiccio dei social questo fenomeno è stato amplificato: le azioni delle persone sono esposte al giudizio popolare e tutti si sentono in diritto di invocare una punizione.
I meccanismi della vendetta girano intorno al senso di piacere, giustizia e soddisfazione che questa risveglia, nonostante la natura aggressiva e negativa.
Alcuni studi hanno portato a ipotizzare che questo diffuso desiderio umano sia legato a un comportamento adattivo molto antico, presente in molte specie sociali. Un’attitudine che, un tempo e per estensione, ci avrebbe permesso di evolvere, ma di cui oggi sarebbe meglio liberarsi.
Quelli che appaiono come benefici della vendetta, sono in realtà degli effetti negativi, perché servono solo a perpetuare la rabbia. Quel meccanismo adattivo, utile in un tempo in cui la vita sociale era limitata al clan – quindi un ambito ristretto – oggi ha perso la sua utilità.
La vendetta, infatti, consiste nell’agire su una realtà esteriore con l’illusione di creare un beneficio interiore. Eppure, per liberarsi dalle emozioni negative, è necessario lavorare sul proprio mondo interiore.
Ciò che spinge a desiderare la vendetta è la necessità di riportare un equilibrio, restituendo il male ricevuto. Apparentemente, essa introduce un criterio di proporzionalità. Purtroppo, però, essa innesca una spirale dove alla nuova trasgressione si potrà rispondere con un’ennesima vendetta.
Nessuna ferita interiore si può riparare con un’azione esteriore.
La vendetta fa appello a degli istinti bassi e ha effetti profondi ma negativi sulla nostra interiorità, attraverso risposte fisiche o emotive.
L’unica azione veramente liberatoria è il perdono.
Il perdono ha a che vedere con sentimenti molto più elevati e con un profondo lavoro di natura interiore. Esistono delle terapie specifiche che permettono di esprimere le emozioni legate a un torto subito, affinché vengano correttamente veicolate. Rappresentando così, come detto, una liberazione. Abbandonare il rancore significa sciogliere quel fastidioso malessere che nasce dalla sensazione costante di pericolo.
Non tutti sanno perdonare facilmente e questo dipende dal carattere del singolo. Il narcisista perdonerà più difficilmente, al contrario delle persone più modeste che non ritengono in alcun modo di avere in tasca la verità assoluta.
Anche i fattori sociali e familiari influenzano la capacità di perdonare. Persone cresciute in ambienti violenti e difficili hanno una maggiore propensione alla vendetta.
Ciò che conta è imparare a perdonare in modo incondizionato, senza necessariamente che intervengano le scuse della controparte. Questo è l’unico tipo di perdono che migliora davvero la salute mentale e che scioglie anche quei sottili e indesiderati vincoli energetici con chi ci ha fatto un torto e con cui non vogliamo più in alcun modo tenere vivo un rapporto.
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Articolo di Monica Vadi per generazionebio.com
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