Stiamo attraversando un’epoca in cui le necessità di base dell’essere umano vengono negate e i contatti sociali ridotti al minimo. Le conseguenze che questo comporta dovrebbero essere considerate al pari degli altri rischi per la salute.
Quel che è peggio è che la situazione sta prolungandosi e ciò che appariva tollerabile per un breve periodo di tempo sta iniziando a diventare insostenibile a lungo termine.
Si sopravvive facendo finta di essere vivi. Questo è quanto.
Le persone si sentono sempre più disorientate e psicologicamente provate. Il bisogno biologico di contatto sociale fa sentire sempre di più la sua voce soffocata.
Ansia, depressione, pensieri ossessivi ed emozioni in subbuglio. Ecco riassunta la situazione della maggior parte di noi, bisognosi anche solo semplicemente di abbandonarci ad un abbraccio stretto.
Il distanziamento sociale imposto sta facendo sentire le sue conseguenze. Soltanto coloro che hanno una visione non olistica della salute possono concepire l’isolamento come qualcosa che non porterà ad un disastro sotto diversi punti di vista.
Il contatto, il tatto, lo stare insieme: sono tutti elementi fondamentali per il nostro benessere. L’uomo è un animale sociale e, in quanto tale, può mantenersi in equilibrio solo attraverso la relazione con l’altro. Ecco perché, universalmente, l’isolamento viene inflitto come una delle peggiori punizioni per il crimine più efferato.
Il contatto che si mantiene attraverso il web non ha certo la stessa valenza.
L’abbraccio di una persona cara, di un famigliare o di un amico sono potenti mezzi per rafforzare il sistema immunitario. Nella nostra indole naturale è codificato il bisogno di percepire il senso di appartenenza e di connessione, che si materializza attraverso il contatto fisico.
L’isolamento e il distanziamento sociale si stanno trasformando in una vera e propria sindrome, caratterizzata da sintomi ben precisi e sempre più evidenti.
Le persone sono estremamente stanche, irritabili, altre ancora sono cadute in una forma di burnout e sono diventate l’ombra di se stesse. Persino gli individui più introversi e riservati non stanno più bene, dopo tutto questo tempo.
Tutti ci siamo dimostrati pronti a sacrificarci per un bene più grande. Ma si rischia di arrivare a un punto dove la cura è peggiore della malattia.
Mark Walsh è un facilitatore britannico di Embodiment, che ha lanciato una provocazione forte, in merito:
E se, paradossalmente, isolamento e distanziamento sociale dovessero durare 10 anni?
Saremmo disposti ad accettarlo? Da un punto di vista dei diritti umani sarebbe tollerabile? Probabilmente la maggior parte delle persone risponderebbe di no.
Purtroppo, sembra che i danni e i rischi di una situazione del genere prolungata nel tempo non siano chiari a coloro che sono deputati a prendere delle decisioni politiche. Eppure dovrebbero essere finalmente considerati, al pari di altri rischi.
Siamo soliti pensare che per stare bene sia necessario fare sport, mangiare bene, magari meditare. Si dimentica però qual è il fattore più importante di tutti: il supporto sociale, costituito da varie componenti come amicizia, empatia, umorismo, contatto, ecc.. Siamo tutti interdipendenti l’uno dall’altro e la maggior parte di queste necessità possono essere solo parzialmente soddisfatte online. È un po’ come se per un anno ci stessimo astenendo dallo stare bene. Per farla breve: abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Sempre. È questa la caratteristica alla base della nostra vita: la possibilità di socializzare, di scambiare informazioni. Non solo a parole, ma con la vicinanza, con la percezione vicendevole dell’energia altrui e con il contatto.
Ci stiamo dimenticando che essere vivi non significa sopravvivere, ma vivere.
Con tutta la prudenza del caso, seguendo ogni possibile regola di corretta igiene (come si dovrebbe sempre fare, a prescindere da eventuali emergenze, del resto) occorre al più presto ritornare alla nostra natura umana, al senso di comunità. Servono soluzioni nuove che tengano conto del benessere di tutti, in senso più ampio.
Chi sta soffrendo profondamente per questa situazione, non è pazzo e non ha nulla di strano: è solo umano. La vita è molto di più di una video chiamata o di una passeggiata fugace intorno a casa. La tecnologia sta certamente offrendo un’ottima alternativa, ma rappresenta pur sempre un surrogato alla vita vera.
Non possiamo vivere in WiFi e pretendere di stare bene. Non è naturale e non è umano. Quello che sembrava un sacrificio accettabile per tamponare una situazione sta diventando una nuova normalità, equivalente a una non vita.
Cosa fare, dunque? Iniziare a far sentire la propria voce. Specialmente chi ha una formazione in tal senso ed è in grado di codificare questo disagio e di prevederne le conseguenze. Medici e psicologi che vedono ogni giorno pazienti che prima stavano bene e che ora sono colpiti da questa sindrome difficile da trattare, insistano su una questione ancora troppo sottovalutata, legata ai bisogni umani di base, ormai da troppo tempo disattesi.
Impossibile che, alla lunga, questi professionisti, specialmente se in tanti, continuino a rimanere inascoltati.
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Articolo di generazionebio.com
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