Un discepolo passeggiava con il suo maestro nel bosco. Si sentiva molto turbato, perché la sua mente era sempre irrequieta e non riusciva a fermare il flusso dei pensieri. Questo lo preoccupava, perché temeva sarebbe stato di ostacolo al raggiungimento dell’illuminazione.
Tuttavia, si vergognava di ammetterlo, allora indirettamente chiese al maestro:
Perché la mente della maggior parte delle persone è irrequieta e solo alcuni riescono a mantenerla calma? Cosa si può fare per placare la mente?
Il maestro guardò il discepolo e gli sorrise:
Ti racconto una storia. Un elefante era intento a raccogliere delle foglie da un albero, quando una piccola ape iniziò a ronzare vicino al suo orecchio. L’elefante la spinse via con le sue lunghe orecchie, ma l’ape tornò e l’elefante la scacciò nuovamente.
La cosa si ripetè più volte, fino a quando l’elefante le chiese come mai fosse così irrequieta e perché facesse tanto rumore, anziché restare ferma sull’albero, smettendo di dargli noia.
L’ape gli rispose di essere molto sensibile ad alcuni odori, movimenti improvvisi e vibrazioni. Nulla poteva fermare questa risposta automatica a questi segnali, interpretati dal suo sistema come delle minacce, capaci di stimolare un irrefrenabile istinto difensivo. Aggiunse che in realtà era proprio l’elefante ad irritarla. Se lui si fosse fermato, lei avrebbe fatto altrettanto.
In questa storia, l’elefante rappresenta la nostra mente e l’ape è il simbolo dei nostri pensieri. Spesso ci comportiamo come l’elefante e lasciamo che la nostra mentalità e il nostro atteggiamento ci rubino la serenità e la pace interiore.
Viviamo in una società che presta attenzione verso l’esterno ma poco all’interiorità. Questo porta ad attribuire successi e fallimenti a cause esterne. Si incolpano il sistema, i genitori, la crisi economica.
Questo atteggiamento porta la maggior parte delle persone a perpetrare una continua lotta con il mondo, con la convinzione che sia l’universo a cospirare contro di loro. E’ una battaglia che è persa prima ancora di essere combattuta, questa: così la sensazione di non avere il controllo alimenta ancora di più lo stato di ansia.
Così si finisce per reagire e per essere vittime delle circostanze, proprio come l’elefante della parabola.
E’ chiaro che le circostanze abbiano un ruolo nella nostra vita e che non si possano ignorare. Se però impariamo ad osservare di più quello che accade dentro di noi, invece di arrabbiarci quando le cose vanno male possiamo chiederci cosa fare per migliorarle.
Il mondo non ce l’ha con noi. Pertanto combattere gli eventi non ha alcun senso. Anzi, la lotta diventa una negazione dei fatti e peggiora la situazione, richiamando ancora più situazioni negative.
Bisogna invece imparare l’arte della piena accettazione, sviluppando un dialogo interiore che consenta di concentrarci sul cambiamento dentro di noi. Questo genererà una sensazione positiva, come di potenziamento.
Tutto questo deve passare dall’assunzione di responsabilità di successi e fallimenti. Questo, nella pratica, si traduce nello smettere di lamentarci per l’ape che ronza nell’orecchio e nel cominciare a chiederci cosa stiamo facendo noi per provocare quella situazione e, soprattutto, cosa possiamo fare per cambiarla a nostro favore.
In questo modo è possibile passare dal rimugino costante a una mente calma.
Prestiamo allora maggiore attenzione ai nostri pensieri e individuiamo quelli che stimolano, aggravano o temperano ciò che sta accadendo. Nessun evento è completamente oggettivo, ma viene sempre filtrato dalla nostra soggettività.
Il disagio che si prova non deriva dal fatto in sé, quanto dall’interpretazione che gli attribuiamo.
E’ importante comprendere che spesso i problemi derivano dai nostri pensieri e che sono quelli a farci reagire in modo inappropriato. Davanti a una situazione spiacevole, si scatenano quasi sempre pensieri catastrofici, che ingigantiscono tutto come fa la palla di neve che rotola dalla cima della montagna e diventa sempre più grande, creando caos ed emozioni negative.
A quel punto si crea un circolo vizioso da cui è difficile sottrarsi. Anzi, se ci proviamo, aumenta la frustrazione. E’ in quel momento che dobbiamo imparare ad accettare il flusso di emozioni, fino a quando non riusciamo a distaccarcene, consapevoli che si tratta di un dialogo interiore tutto nostro.
La cosa più saggia da fare ogni volta che si affronta una situazione difficile è chiedersi quale parte di noi si sta comportando come l’elefante: quella è la parte che inutilmente combattendo contro il mondo; la stessa che provoca il mondo a lottare contro di noi.
Si scoprirà così che, cambiando atteggiamento, ogni problema verrà affrontato più facilmente e l’impatto emotivo sarà minore.
E’ tutta una questione di mentalità.
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Articolo di generazionebio.com
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