La cultura moderna non vede di buon occhio chi infonde speranza, preferendo un approccio più schietto e realista.
Se da un lato questo è comprensibile, dall’altro si ignorano delle evidenze emerse recentemente, sui processi chimici che si instaurano nel nostro sistema quando abbiamo speranze positive.
Apparentemente, la speranza è eterea e non è in alcun modo tangibile o misurabile.
Eppure può avere un ruolo determinante in un processo di cambiamento, di guarigione e di recupero.
L’argomento è stato ampiamente affrontato dallo psicologo Shane J. Lopez nel suo Making Hope Happen: Create the Future You Want for Yourself and Others.
Un’analisi ancora più approfondita è stata fornita dal medico e biologo Jerome Groopman, che nel suo Anatomia della Speranza. Come reagire davanti alla malattia illustra come un atteggiamento speranzoso sia addirittura in grado di alterare i processi neurochimici del nostro sistema.
Gli elementi chiave della speranza sono l’aspettativa e la fiducia. Questo tipo di approccio stimola il rilascio di endorfine e di encefaline, che mimano l’effetto della morfina. In questo modo, è possibile letteralmente ridurre e persino bloccare il dolore.
In alcuni casi, la speranza può avere anche un effetto di primaria importanza sui principali processi fisiologici, come la respirazione, la circolazione sanguigna e la funzione motoria.
Quando una persona è ammalata, avere fiducia e aspettative positive ha un impatto sul sistema nervoso che, a cascata, reagisce rendendo più efficace e rapido il recupero. Questo processo è fondamentale nell’ambito dell’effetto placebo, che viene determinato, appunto, da un’aspettativa.
Inutile dire che la speranza è associata anche al benessere emotivo. Non esistono persone che abbiano perso la speranza e che siano al contempo felici.
Groopman ha sottolineato come la speranza non coinvolga solo l’asse mente-corpo, ma anche quello corpo-mente, nel senso che gli input neurali associati alla condizione fisica di un soggetto servono a modulare le emozioni positive o negative.
Ciò che va sottolineato è che la speranza stimola un circolo virtuoso. Le persone speranzose hanno una visione che le supporta e che le aiuta a compiere tutte le azioni possibili per recuperare il loro benessere. E’ come fare un investimento sul proprio futuro, che però permette di godere dei frutti già nell’immediato. Viene infatti più semplice scegliere un’alimentazione più sana, fare la giusta attività fisica, evitare di disperdere inutilmente le energie e prendersi cura di se stessi attenendosi al miglior piano di cura suggerito.
Bisogna però distinguere tra speranza e negazione
Le false speranze rischiano di far sottovalutare rischi e pericoli e portare a compiere scelte sbagliate. La speranza sana è invece quella che tiene conto delle reali minacce, se ve ne sono, e che permette di trovare la strada migliore per aggirare gli ostacoli.
La speranza non ha nulla a che vedere con il pensiero positivo, ma si può considerare come una via di mezzo tra ottimismo e fiducia nel potere che ciascuno di noi ha di passare all’azione per cambiare le cose.
Allo stesso modo, la speranza non ha nulla a che vedere nemmeno con il desiderio. Quest’ultimo, spesso, per come viene comunemente inteso, incoraggia un atteggiamento passivo. La speranza implica invece sempre un’azione.
Il desiderio è la manifestazione della fantasia che tutto andrà bene. La speranza è quella che si manifesta invece a fronte del duro lavoro perché le cose vadano bene.
In tutto questo, sono importantissime anche le parole che vengono usate nei confronti del malato quando il medico gli comunica qualsiasi tipo di diagnosi. Le corrette suggestioni verbali hanno il potere di modificare il cervello e l’intero organismo. Ecco perché le parole di speranza sono un ingrediente cruciale in ogni terapia e ne diventano addirittura parte integrante, come sostiene Fabrizio Benedetti, uno dei massimi studiosi al mondo dell’effetto placebo nel suo libro La Speranza è Un Farmaco.
![]() | Come le parole possono vincere la malattia |
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Articolo di Monica Vadi per generazionebio.com
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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