Parlare di inazione oggi può sembrare rivoluzionario. Viviamo una vita frenetica e agitata, che non lascia spazio alla minima pausa rigenerante.
Chi conosce la filosofia orientale sa che le cose sono viste da una prospettiva molto diversa rispetto alla nostra e che il non fare non corrisponde al fare niente. C’è una differenza sottile ma sostanziale.
Non ha nulla a che vedere con l’inerzia o con la mancanza di volontà.
Per capire cosa si intende, è utile immaginare il classico occhio del ciclone. In ogni ciclone, come in ogni tempesta, è presente una zona calma, l’occhio del ciclone appunto. Si trova al centro e si sposta insieme al ciclone.
Chi non si ferma mai e non si rilassa in nessuna occasione, senza riuscire a collocarsi dentro l’occhio del ciclone, finirà per diventare vittima inesorabile dello stress e avrà una vita squilibrata. Se, al contrario, siamo in grado di posizionarci in quello spazio dove non succede nulla, in realtà non ci stiamo fermando, ma stiamo compiendo un’azione profondamente significativa.
Quando siamo nell’inazione, ci stiamo semplicemente prendendo del tempo per essere.
In Oriente, questo stato intermedio tra il fare e l’essere ha un nome: wu-wei, o azione senza azione.
Quando si parla di non fare, la maggior parte delle persone sgrana gli occhi. Pensano che il riferimento sia al restare sdraiati, al ciondolare, ad uno stile di vita letargico.
Ma il non fare non è il contrario del fare! È qualcosa che non è né passivo né attivo, ma uno stato di presenza e di sensibilità ottimali. È una risposta fluida alla vita.
Sono quei momenti in cui entriamo in contatto con la natura, contempliamo un tramonto o ci troviamo al chiaro di luna, senza voler raggiungere un obiettivo particolare. Semplicemente, si rimane lì e si cerca di entrare in risonanza con i ritmi dell’universo.
Gli atleti professionisti definiscono il non fare come “la zona“.
In questo stato, una risposta appropriata a qualsiasi situazione origina dal nostro nucleo e non è modificata dall’intelletto. Definisce la capacità di risposta, piuttosto che l’abilità di reazione.
Il non fare accade quando crediamo che la vita abbia sempre la prima mossa. Quando le nostre azioni non sono iniziazioni isolate basate sui nostri desideri, ma risposte agli stimoli della vita. Il non fare significa essere pronti a rispondere a qualsiasi cosa ci porti la vita, senza però sentire il bisogno di iniziare nulla. È la squisita esperienza di essere guidati senza fatica e sorpresi da quel miracolo chiamato vita.
Sono quelli i momenti in cui finalmente ci rendiamo conto che normalmente viviamo una quotidianità piatta, che all’improvviso si trasforma e diventa tridimensionale e inizia a nutrirci con l’energia di cose meravigliose che sono sempre state lì, ma di cui non ci siamo mai accorti prima.
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Articolo di Monica Vadi per generazionebio.com
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