Una delle emozioni, che ha sicuramente bisogno di tempo per essere realmente provata, è la malinconia.
Ha bisogno di tempo perché è un sentimento che va di pari passo con la nostra crescita evolutiva.
La Malinconia può essere affine alla Tristezza ma in realtà non è così dolorosa: scavando a fondo essa si presenta più cupa e più profonda ed è accompagnata, in un certo senso, da una dosa di tenerezza e di dolcezza.
Non a caso qualcuno la definì come una forma di “infelicità travestita da zucchero”.
Se n’è parlato a lungo sulla malinconia, a partire dalla scuola di Ippocrate del quinto secolo avanti Cristo: infatti, Malinconia è una parola greca che significa letteralmente “bile nera”. Rimanda a quella che è stata la teoria umorale di Ippocrate che assieme alla bile gialla, al flegma e al sangue faceva parte dei quattro umori base presenti naturalmente all’interno del corpo umano.
Stando alla medicina del tempo il perfetto equilibrio, di questi quattro umori, si credeva fosse fondamentale per la salute psicofisica dell’uomo.
I medici ritenevano che determinati traumi, lutti o forti dolori provocavano un innalzamento della bile nera, situata in un preciso organo: l’ipocondrio.
In quei casi, l’ipocondrio, rilasciava un vapore ritenuto tossico che mandava in tilt il cervello.
Così l’uomo era “vittima” della malinconia che lo portava ad isolarsi, ad assumere un atteggiamento introspettivo, ad avere uno stile di vita sedentario tendente all’apatia.
Andando avanti nel tempo la malinconia fu associata al nostro sé autentico.
Il nostro sé autentico, che è la nostra vera essenza spogliata da tutti quei condizionamenti sociali e familiari, si fa sentire in tutte le nostre situazioni limite: ossia, in tutte quelle situazioni che ci obbligano a fermarci e a guardarci dentro.
In questo contesto, si ricollega una bellissima definizione di Kierkegaard, filosofo dell’ottocento, che dice: “la malinconia è il peccato di non volere profondamente e intimamente.”
Cosa significa questo?
Nelle nostre situazioni-limite, la malinconia è una messaggera: viene a noi per infonderci coraggio, per risvegliare la nostra parte creativa, che volutamente abbiamo soffocato per troppo tempo.
Mettiamoci alla prova, accettiamo la sfida.
E chiediamoci… Ciò che stiamo facendo ci piace realmente?
Ci sentiamo soddisfatti? Cos’è che ci trattiene dall’avere la vita che desideriamo?
Le risposte contengono in sé la scintilla che ci consente di guardare verso orizzonti che ci aspettano da sempre.
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Articolo di Francesca Giaracuni per generazionebio.com
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