Nel film Alien di Ridley Scott, molti ricorderanno la scena tremenda in cui dal petto di un uomo fuoriesce l’alieno parassita. Raccapricciante, ma rende l’idea di ciò che può succedere dentro di noi se lasciamo che il dolore che proviamo cresca.
Quando viviamo situazioni che ci fanno soffrire, oppure quando affrontiamo una separazione, tendiamo a reprimere il dolore, il quale però continuerà a crescere dentro di noi, prosciugandoci da dentro.
Questa è una buona ragione per eliminarlo. Come? Prendendo carta e penna.
Come funzionano le lettere terapeutiche
Quando scriviamo, le emozioni che percepiamo seguono un processo per il quale diventano reali. Se piangiamo quando dobbiamo dire addio a qualcosa, l’addio diventa più reale. Lo stesso vale per la scrittura, perché aiuta a materializzare i sentimenti e ad esprimerli. Li tira fuori.
L’atto simbolico di dire addio attraverso una lettera ha quindi un impatto enorme sulla nostra vita e il nostro benessere.
Un atto simbolico spesso è l’unico modo che abbiamo per esprimere ciò che abbiamo dentro. Ci evita, se non ce la sentiamo, un faccia a faccia con chi ci ha ferito.
Una lettera terapeutica aiuta a porre fine a una relazione chiusa in modo conflittuale e permette di dire cose che altrimenti lasceremmo sepolte dentro di noi per diversi motivi.
Una lettera terapeutica è una creazione estremamente intima, che può rivelare i nostri segreti, i nostri rimpianti, i sensi di colpa e a volta anche qualche liberatorio insulto che non pronunceremmo mai a voce.
Una lettera di addio permette di mettere un punto e di andare avanti, evitando di nutrire il rancore dentro di noi.
A chi scrivere una lettera terapeutica?
- un ex
- un familiare o amico che non c’è più
- alla madre a qualcuno con cui si vuole discutere di qualcosa
- alle persone che ci hanno ferito in passato
Si possono però anche semplicemente esprimere quali sono le proprie emozioni in un dato momento:
- rabbia che infuria
- dolore che assorbe
- paura che trattiene
e così via. In questo caso, mentre si scrive, sarebbe meglio pensare all’emozione come a qualcosa di separato. Come se fosse, appunto, un alieno.
Personificare in qualche modo un’emozione forte rende più facile esprimerla e farla scivolare via.
Si può anche scrivere a se stessi, al noi del passato, a quella parte di noi che si arrende facilmente, a quella che non riesce a dimenticare il passato.
Cosa evitare?
Quando scriviamo una lettera di addio, o una qualsiasi lettera terapeutica, il destinatario non la dovrà mai ricevere. Per questo non bisogna in alcun modo trattenersi. Scriviamo allora tutto ciò che ci viene in mente, anche la più cattiva.
Una volta che la lettera sarà scritta, si potrà scegliere se farla a pezzi o bruciarla. O tenerla. MAI spedirla o consegnarla al destinatario. Potrebbe esserne ferito e il ciclo potrebbe ricominciare, distruggendo l’intento dell’addio.
Un addio difficile è per noi stessi, un po’ come il perdono. Non va mai fatto alla luce del sole. Perché ha a che fare con ciò che l’altro ha significato per noi. E’ un modo per affrontare il nostro dolore, il nostro risentimento e la rabbia, per metabolizzarli e andare avanti.
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Articolo di generazionebio.com
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