Mancanza, vuoto. Solitudine. Anche in mezzo alla folla. Distacco. Oppressione. Un continuo, costante senso di assenza. E’ lì, sullo sfondo. Come la colonna sonora, suonata a basso volume, di una vita intera. Chiude lo stomaco, rallenta i passi, appesantisce il respiro. Come un fantasma senza un nome.
E’ emerso negli ultimi anni un fenomeno di cui ancora poco si parla e che, di conseguenza, un esiguo numero di persone conosce: la Sindrome del Gemello che Resta.
Si tratta di un’esperienza biologica naturale, secondo la quale molti di noi non verrebbero concepiti da soli, anche se finiscono per nascere come figli unici. Oggi la tecnologia ad ultrasuoni di cui la medicina dispone rende possibile riconoscere più facilmente una gravidanza multipla. La stima è che le gravidanze che si avviano con più embrioni siano una su dieci.
In questo utero particolarmente generoso, si condividono allora le prime esperienze, si apprende, ci si sfiora e persino si gioca con quel fratello che mai verrà alla luce. Proprio così, perché entro il primo trimestre qualcosa all’improvviso cambia. Gli spazi all’interno del tempio della vita che è il grembo materno si riducono e uno solo degli embrioni sopravvive.
Un sogno ricorrente. Un senso di colpa che non ha un volto, non ha un nome. E’ stato un errore, è l’unica consapevolezza. Quale? Cosa? Tracce da nascondere. E’ tutto inspiegabile. Anche il dolore. Mi sveglio di soprassalto, ogni volta. E il senso di vuoto si acuisce.
Per l’embrione che sopravvive, questa è in assoluto la prima esperienza di lutto della sua esistenza. E’ un evento che, una volta avvenuto, viene inciso nella memoria cellulare e che condizionerà sempre, attraverso quel senso ineluttabile a apparentemente insensato di abbandono e di perdita, che saranno il filo conduttore di una vita intera.
Sono figlia unica. Durante la mia infanzia, ho desiderato ardentemente di avere un fratello più grande di me. Che mi proteggesse, mi guidasse, che fosse il mio complice. L’ho talmente desiderato, che ho passato anni a immaginare che ci fosse, che dormisse lì in quella cameretta arredata con due letti singoli, di cui uno solo era occupato. Da me. In quella stanza nella casa in montagna, nel letto a castello dove uno dei materassi era sempre vuoto. Ma non nella mia mente. Quando l’immaginazione non è stata più sufficiente, l’ho cercato. Dietro il volto di amici maschi che assolvessero a quel ruolo. Per trovare un po’ di calore. Per colmare quel vuoto. Per ristabilire una complicità.
Dove va a finire il feto che non viene alla luce? Spesso i suoi tessuti vengono riassorbiti. Oppure vengono disseccati ed espulsi, o attraverso dei sanguinamenti da parte della madre, o durante il parto.
Sono sempre stata sovrappeso. Da piccola mi sono sentita ripetere all’infinito il mio peso alla nascita: più di 4 kg! Come suonava enorme questo numero. Sembrava un macigno. Mi ha accompagnato tutta la vita. Eppure. Ho provato diete di ogni tipo. Ho un’alimentazione adeguata. Non faccio molta attività fisica, ma anche quando la buona volontà mi consente di allenarmi per periodi prolungati, non succede nulla. Come se quel senso di vuoto e di inadeguatezza non fossero già abbastanza.
Da quando è stata teorizzata la Sindrome del Gemello Che Resta, sono diventate numerose le opportunità di intervento e di diagnosi. Questo ha aperto la strada alla possibilità, finalmente, di comprendere e guarire da qualcosa che prima era così intangibile da essere interpretato talvolta persino come una psicosi. Questo giustifica molti sintomi che non hanno alcun riscontro clinico e di cui ora, finalmente, molti gemelli sopravvissuti possono prendere coscienza, allo scopo di riprendere in mano le redini della propria vita.
… e se fosse andata proprio così… ? Possibile?! Sembra incredibile ma… Ho i brividi e mi percorrono tutta la spina dorsale. Tutto questo ha senso. E’ come un pezzo del puzzle che finalmente trova la sua collocazione dentro un’immagine finora astratta che mi ha perseguitato per decenni. Claudio. Ti chiamerò Claudio. Ti ho cercato così tanto e solo ora comprendo che sei sempre stato con me. In realtà è come se fossimo nati insieme, non c’eri ma ti ho usato come corazza, come scudo. Ti ho materializzato fino a renderti visibile in me. Eri lì per ridere, ballare, parlare ogni volta che mi sentivo da sola. Lo sei stato sempre. Ti cercavo fuori, eppure eri in me. Oggi che ho capito chi sei, però, so che è giusto lasciarti andare. Sono pronta a vivere da sola e a muovermi nel mondo, finalmente più leggera. Niente più zavorre. Niente più sensi di colpa. La natura ha voluto così e io accetto le sue leggi superiori. Ed è per questo che ti onoro, ti ringrazio, mi perdono e ti lascio andare. Sono finalmente me stessa. Pronta ad amarmi per lo splendore che sono.
Sulle implicazioni psicologiche della Sindrome del Gemello che Resta, sulla modalità biologica attraverso la quale si verifica e sulle modalità di intervento, comprensione e guarigione, Uno Editori propone il libro IL MIO GEMELLO MAI NATO. Le autrici Maria Luisa Rossi, naturopata e iridologa, e Caterina Civallero, da 30 anni operatrice del benessere e relatrice, hanno unito le forze per dare alle stampe un lavoro che guiderà il lettore alla scoperta di un argomento ancora così poco frequentato, in grado però di fornire a molti individui la chiave di volta della loro esistenza. Un libro che, tra le altre cose, mette l’accento sulla memoria degli embrioni, sulla sensibilità pre-natale e sulla morfogenesi di questa sindrome. Nella quale cui molti lettori si riconosceranno, trovando finalmente la strada verso la guarigione.
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Articolo di Monica Vadi per generazionebio.com
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Per approfondire, è disponibile anche l’articolo LA SINDROME DEL GEMELLO SCOMPARSO